18.2 La dignità dell'uomo
La dignità dell'uomo è un tema centrale nell'Umanesimo. Nelle opere che più compiutamente esprimono questo tema, il De dignitate et excellentia hominis (1452) dell'umanista fiorentino Giannozzo Manetti (1396-1459) o l'Oratio de hominis dignitate (1486) di Pico della Mirandola (1463-1494), la dignità dell'uomo viene celebrata attraverso il valore attribuito alle arti, alle tecniche, alle dottrine di cui l'uomo si serve per vincere la natura, dare ordine alla società, accrescere la propria conoscenza del mondo, apprezzare le bellezze della vita. Con toni analoghi Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto, matematico e letterato, esaltava nei Libri della famiglia l'uomo che conosce la "buona e santa disciplina del vivere" e la mette in pratica tanto negli affari pubblici che nel governo della famiglia. Nella prospettiva più filosofica di Marsilio Ficino (1433-1499) l'uomo appare addirittura come una mirabile sintesi dell'ordine universale, vero e proprio microcosmo nel quale si fondono divinità e natura.
L'Umanesimo, come abbiamo visto, è legato, fin dalle sue origini, al mondo della borghesia cittadina italiana, quindi a un ambiente geografico e storico ben definito. I valori che questo movimento espresse ebbero però un carattere universale: l'affermazione della dignità dell'individuo, per esempio, altro non era che l'affermazione del valore universale dell'umanità. Questo carattere aperto della cultura umanistica, questo suo proporsi come sistema di valori condivisibili da tutti, sta alla base della sua rapida diffusione in Europa. La rivalutazione dell'attività umana si accompagnò a una nuova visione dell'universo: il matematico e astronomo tedesco Niccolò Cusano (1401-1464), molto legato ad ambienti umanistici italiani - ed egli stesso radicato nel nostro paese, dove ricoprì importanti cariche ecclesiastiche - elaborò una costruzione metafisica e cosmologica che rivoluzionò le concezioni medievali. Cusano negò che lo spazio fosse finito e che esistesse un unico centro dell'universo. Tra l'infinito (Dio) e il finito non c'è proporzione; Dio sfugge quindi alla conoscenza dell'uomo, cui non resta altro che riconoscere la propria ignoranza. Si tratta, però, di una dotta ignoranza, niente affatto passiva e rinunciataria. Riconoscendo i propri limiti, l'uomo si evolve attraverso un costante processo di approssimazione "che tende all'infinito mediante la progressiva acquisizione di valori finiti".
Già prima del '400 aveva inoltre cominciato a manifestare segni di crisi la vecchia concezione tripartita della società (
7.5), che poneva al primo posto gli uomini di Chiesa (oratores), al secondo i guerrieri (bellatores) e al terzo i contadini (laboratores). Al vertice di questa gerarchia, gli oratores furono ora affiancati dai laici colti, i litterati o philosophi, cui spettava il compito d'istruire, consigliare e persino di governare. Una significativa modifica di orientamento, che rivela l'ascesa sociale dell'uomo di lettere come individuo non più isolato e appartato nel chiuso dei monasteri, ma sempre più coinvolto nella vita pubblica.
L'Umanesimo abbandona gli ideali medievali della rinuncia e della povertà e mette in discussione l'idea della salvezza eterna da raggiungersi principalmente attraversò il rifiuto dei beni e dei piaceri di questo mondo. Al tempo stesso rivaluta l'impegno civile e l'operosità in ogni campo. In questa nuova concezione dell'umanità intesa come libertà, l'uomo celebrava se stesso. La nuova immagine umanistica della società si fondava pertanto su una profonda
laicizzazione. Laicizzazione non vuol dire, ovviamente, ripudio di qualsiasi forma di religiosità (esamineremo in seguito gli aspetti religiosi dell'Umanesimo:
18.9) ma affermazione dell'autosufficienza e del "valore autonomo delle attività umane, considerate in se stesse, con un riferimento alla loro funzione in seno alla società e non più in connessione determinante con una vita futura, extrasocietaria, 'eterna'" (Franco Gaeta).
L'opera d'arte come la politica, la scienza come la storia, venivano ora valutate per se stesse, indipendentemente da qualsiasi considerazione metafisica (problemi diversi pone invece l'economia, per la quale p. 426). Si frantumava in tal modo, e veniva meno, quella concezione totalizzante delle attività umane che era stata tipica della mentalità medievale (capitolo 7). Un passo che era stato preparato, in politica, dalla riscoperta di Aristotele e dalla diffusione della conoscenza del diritto romano che avevano offerto preziose basi teoriche alla demolizione di quelle concezioni teocratiche che facevano discendere il potere da Dio (
13.1). Ma ora il fenomeno si estendeva a molte altre attività umane. Diventava sistema.
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