11.2 Infedeli contro infedeli
Il mondo musulmano rappresentava ormai una grande realtà politica, militare, culturale. Esso era però diviso, come abbiamo visto (
5.4) da gravi contrasti religiosi, che ne minavano la compattezza. Non appena venne meno la fase eroica della conquista, queste spaccature presero il sopravvento, e furono accentuate dall'insoddisfazione dei convertiti, che si vedevano relegati in una condizione d'inferiorità.
Nel 750, una ribellione portò all'abbattimento del califfo Marwan II: la fomentarono i kharigiti e una coalizione tra gli sciiti e i discendenti di uno zio di Maometto, Abbas, detti Abbasidi. Gli Abbasidi fondarono in Iraq una nuova capitale, Baghdad. Il trasferimento del centro del potere politico da Damasco a Baghdad segnò la prevalenza dell'elemento iracheno-iraniano su quello siriano. Esso spostò anche verso Oriente il baricentro dell'Islam, favorendo la nascita di movimenti secessionisti nelle regioni occidentali.
Durante la rivolta abbaside tutti i membri della dinastia omayyade erano stati messi a morte. Alla strage era scampato soltanto un adolescente, che si era rifugiato in Spagna: qui sarebbe risorta più tardi, intorno all'Emirato di Cordova, una nuova dinastia omayyade. Emirati sostanzialmente autonomi sorsero anche in Marocco, in Tunisia e in Egitto. In quest'ultima regione si consolidò un vero e proprio Califfato, nelle mani degli sciiti Fatimidi. L'antica unità islamica risultò pertanto frantumata tra compagini guidate da sciiti (i Fatimidi) e compagini guidate da sunniti (gli Omayyadi e gli Abbasidi).
Durante il periodo della presenza araba in Sicilia e in Spagna intensi erano stati i rapporti economici e culturali tra il mondo islamico e quello cristiano. Gli arabi avevano trasmesso al mondo occidentale tecniche, gusti, forme artistiche, idee scientifiche che avevano arricchito notevolmente il bagaglio culturale delle popolazioni europee (si pensi, per fare un solo esempio, alla cosiddetta numerazione araba, che gli arabi avevano appreso a loro volta dagli indiani). Molte di queste acquisizioni della cultura materiale e intellettuale gli arabi le avevano ereditate - in Siria come in Egitto, in Africa come in Spagna e in Sicilia - dal millenario patrimonio della tradizione greco-romana (si pensi, per esempio, ai trattati scientifici dell'antica Grecia o alle stesse opere di Aristotele, che furono poi ritrasmesse all'Occidente). I contatti, gli avvicendamenti e anche gli scontri tra i popoli avevano determinato, nel tempo, un intreccio molto complesso, che fece del Medioevo, dal punto di vista culturale, un'epoca aperta e ricettiva.
Questi contatti tra culture si accompagnarono tuttavia a una sempre più rigida chiusura di carattere ideologico: per i cristiani, i musulmani erano gli "infedeli"; per i musulmani infedeli erano invece i cristiani.
Tra la visione cristiana del mondo e quella musulmana c'erano molte differenze. Per i musulmani l'umanità si divideva in due: la Casa dell'Islam e la Casa della guerra; la prima comprendeva tutti i paesi in cui si seguiva la legge islamica, cioè quelli rientranti nel loro diretto dominio; l'altra comprendeva il resto del mondo. Compito di ogni musulmano degno di questo nome era lottare con ogni mezzo per estendere la Casa dell'Islam su tutta l'umanità. La divisione del mondo in paesi e popoli, che nel pensiero cristiano aveva tanta importanza, nel mondo islamico era estremamente debole. Le denominazioni veramente importanti erano Casa dell'IsIam e Casa della guerra, e le altre non contavano molto: si pensi che ancora oggi alcune delle denominazioni degli Stati in cui si divide l'Islam risalgono all'antichità greco-romana (per esempio Siria, Palestina, Libia), altre sono state inventate ex novo (per esempio Pakistan), mentre altre ancora sono di derivazione occidentale (per esempio Turchia e Arabia).
La concezione del mondo caratterizzata dalla divisione tra terre islamizzate e non ancora islamizzate aveva dominato la coscienza dei musulmani all'epoca della loro grande espansione (VIII secolo) e aveva animato l'entusiasmo dei guerrieri arabi (
5.5). La successiva divisione dell'impero musulmano in più Stati e il colpo di freno imposto agli eserciti musulmani dai nemici più potenti (la Cina, Bisanzio, i Regni cristiani dell'Europa occidentale) introdussero, però, elementi di maggiore duttilità in quella visione così rigida. La conquista del mondo non fu più vista come imminente, ma rinviata in un'epoca lontana, mentre si cominciarono a diffondere regole di convivenza con gli infedeli, più sfumate e articolate. Si affermò, così, riguardo ai miscredenti, una distinzione tra gli atei e i politeisti da una parte, gli ebrei e i cristiani dall'altra. Per i primi c'era una sola alternativa: convertirsi all'Islam o essere uccisi. Per gli altri c'era, invece, una terza possibilità.
Ebrei e cristiani erano ritenuti seguaci di una religione superiore - perché monoteista come quella islamica - alle religioni politeiste con cui i musulmani erano entrati in contatto in Asia o in Africa. I musulmani riconoscevano inoltre al cristianesimo e all'ebraismo la dignità di religioni "rivelate" (
5.2). L'avvento di Maometto nel 622 e la diffusione del Corano erano state, per i musulmani, l'ultima e definitiva di una serie di rivelazioni attraverso le quali Dio si era manifestato agli uomini: ebrei e cristiani erano "infedeli" nel senso che, pur avendo ricevuto a suo tempo la rivelazione del vero Dio, si erano poi rifiutati di riconoscere la volontà ultima e perfetta (quella appunto rivelata da Maometto). Agli ebrei e ai cristiani che vivevano sotto l'Islam era permesso di praticare la loro religione, di frequentare i luoghi di culto, di svolgere le loro attività. Dovevano però riconoscere la superiorità islamica attraverso il pagamento di una tassa speciale, di carattere personale.
Il dominio musulmano, proprio perché consentiva ad alcuni gruppi sottomessi di seguire la propria religione, può essere definito tollerante. Certamente era più tollerante del dominio cristiano sui musulmani, che tranne qualche rara eccezione, non garantì mai un'analoga libertà di culto. In tutti i paesi riconquistati all'Islam, il cristianesimo veniva imposto infatti con durezza e spesso con ferocia.
Questo modo diverso di trattare i sudditi e gli stranieri di un'altra religione era il motivo principale per cui ai musulmani non piaceva recarsi nell'Europa occidentale. Qui, essi non trovavano nemmeno condizioni di vita confortevoli: non trovavano moschee dove pregare, non trovavano bagni in cui lavarsi (essi avevano infatti ereditato nei loro paesi la tradizione romana delle terme e la conseguente passione per l'acqua), non trovavano nemmeno macellai esperti nella preparazione islamica delle carni, e così via. La sporcizia delle città cristiane brulicanti di animali ritenuti immondi, come i maiali e i cani, li disgustava profondamente. Questo dell'igiene era un motivo ricorrente nelle descrizioni musulmane della Cristianità. Lo aveva già rilevato, tra altri elementi negativi, un autore arabo del X secolo che aveva effettuato un viaggio in Francia:
Non c'è popolo più sudicio di quello. Sono di indole perfida e mediocre. Non si curano di pulirsi o lavarsi più di una o due volte all'anno, e con acqua fredda, né hanno l'abitudine di lavare i loro indumenti di tanto in tanto, e li indossano invece fino a quando non si lacerano. Si radono la barba, e dopo essersi rasati, sui loro visi spuntano piccoli peli ispidi e ripugnanti...
I musulmani non amavano frequentare l'Europa, ma gli europei, in compenso, frequentavano il mondo musulmano. Il risveglio economico dell'Occidente spinse i mercanti cristiani - italiani in prima fila, ma poi anche spagnoli, francesi, olandesi, inglesi - a frequentare i principali porti musulmani e di lì anche le città dell'interno. La figura del mercante franco (così i musulmani chiamavano gli europei) divenne familiare in molte città africane e orientali. Oltre ai manufatti artigianali, i mercanti cristiani si procuravano su queste piazze tutte quelle merci che i musulmani facevano affluire dall'Oriente e dall'Africa centrale; dalla Cina, dall'Asia centrale, dall'India, i musulmani importavano sete, pietre preziose, spezie, piante aromatiche, legname pregiato, ceramiche, metalli; dall'Africa soprattutto schiavi e oro. Molte di queste merci finivano poi in Europa, grazie all'intraprendenza dei mercanti cristiani.
I mercanti musulmani in Europa erano invece rarissimi. L'Occidente povero, infatti, non aveva molto da offrire all'Islam ricco, e la maggior parte delle sue esportazioni riguardava tre generi principali: schiavi, armi, lana inglese.
Come tutte le grandi civiltà dell'epoca anche quella musulmana utilizzava il lavoro degli schiavi. Dal momento che la legge islamica proibiva di ridurre in schiavitù i musulmani o quegli infedeli che pagavano il tributo al governo musulmano, i mezzi di reclutamento della manodopera schiavile si riducevano a due: l'allevamento degli schiavi, il rifornimento dall'estero. Il primo sistema non dava grandi risultati, perché gli uomini ridotti in schiavitù non procreano facilmente e i costi di mantenimento fino all'età da lavoro erano molto alti. Si faceva quindi ampiamente ricorso al secondo, che avveniva a sua volta in due modi: o tramite razzie o tramite acquisti regolari.
Soprattutto nei secoli dal X al XII i corsari musulmani della Spagna, della Sicilia, dell'Africa settentrionale effettuarono periodiche incursioni lungo le coste del Mediterraneo, catturando migliaia di prigionieri (si racconta che una sola spedizione lungo l'Adriatico procurò 12.000 schiavi) che venivano smistati in tutto il mondo islamico. Ma c'era un'altra via di rifornimento, meno impegnativa dal punto di vista militare. Gli europei, con i veneziani in prima fila, non disdegnavano di vendere ai musulmani schiavi provenienti dall'Europa orientale e soprattutto dalle popolazioni slave: lo slavo divenne a tal punto l'oggetto privilegiato di questo commercio, da dare il suo stesso nome alla parola schiavo (sclavus da slavus in sostituzione del latino servus). Invano i papi cercarono di impedire questo sordido commercio che sottraeva anime alla Cristianità per consegnarle agli infedeli: incuranti di questi anatemi, i commercianti europei continuarono a compiere ottimi affari.
Altra merce richiesta abbondantemente in Europa erano le armi. La qualità delle spade franche, che mantenevano l'altissima tradizione della splendida metallurgia germanica, era apprezzata in tutto il Mediterraneo e alimentava un traffico in continua espansione. Anche in questo caso i pontefici tuonavano contro chi vendeva strumenti di morte che gli infedeli avrebbero usato contro il popolo cristiano; ma anche in questo caso l'attrattiva del guadagno si rivelò più forte del timore religioso. L'ultimo importante prodotto richiesto dall'Islam era il panno inglese, già allora rinomato e celebrato in tanti documenti islamici, che ne vantavano la "morbidezza come di seta" e la "straordinaria bellezza che non ha eguale in nessun'altra terra".
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