8.5 Il "Sacro Romano Impero di nazione germanica"
Il Regno di Germania, dopo la disgregazione dell'Impero carolingio, comprendeva una vasta area delimitata ad ovest dal Reno, a est dall'Elba, a sud dalle Alpi, politicamente divisa in quattro grandi Ducati (Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera) che erano espressione dei principali gruppi etnici della popolazione tedesca. Dopo una fase di lotte tra i vari duchi per la conquista della corona - anche qui il re veniva eletto e ciò dava luogo ad aspri contrasti - , si affermò con
Enrico I l'Uccellatore (919-36) la
dinastia di Sassonia. Principale preoccupazione di Enrico I fu il contenimento delle spinte centrifughe esercitate dagli altri Ducati e, soprattutto, l'organizzazione della difesa contro le scorrerie degli ungari. Suo figlio
Ottone I (936-73) coronò l'opera paterna consolidando il potere monarchico e respingendo definitivamente il pericolo di aggressioni esterne.
Premessa fondamentale a tutta l'azione di Ottone I fu la ridistribuzione dei poteri periferici, fondata su una nuova concezione dell'episcopato e dei rapporti tra corona e Chiesa tedesche. Per frenare le velleità dei conti tedeschi egli associò al potere i vescovi, assegnando loro importanti feudi dotati di notevoli mezzi finanziari e militari; il sovrano controllava le loro nomine e li investiva anche delle funzioni spirituali. Le sue scelte furono quasi sempre opportune e felici; fu interrotta l'usanza di attribuire le cariche ecclesiastiche a cortigiani e membri della famiglia reale che vedevano nella carriera religiosa unicamente uno strumento di potere e di ricchezza, e si procedette a nomine secondo la competenza e la moralità. L'immagine della Chiesa ne uscì rinnovata e potenziata. L'elevazione dei vescovi a grandi feudatari (vescovi-conti) riportò inoltre in parte il sistema feudale sotto il controllo del re: a differenza dei feudatari laici, che, dopo il capitolare di Quierzy (
8.1), trasmettevano i loro privilegi per via ereditaria, i vescovi, grazie all'obbligo del celibato, non lasciavano eredi, e il sovrano era quindi libero di riassegnare, secondo i criteri di volta in volta più opportuni, i feudi lasciati liberi.
Rafforzato così il suo potere e la sua capacità di mobilitare risorse, Ottone I fu in grado di ridimensionare definitivamente gli ungari nella grande battaglia di Lechfeld (
8.2). I confini vennero consolidati con l'annessione del Regno di Boemia e con la ricostituzione della Marca d'Austria; decisiva fu, poi, la grande campagna di evangelizzazione degli ungari, che ottenne pieno successo (
8.2). Meno brillanti furono i risultati ottenuti nei territori tra Germania e Polonia, al di là dell'Elba, dove numerose tribù slave rimasero sempre riottose alla sottomissione al vicino tedesco. Anche qui, però, importanti risultati furono realizzati attraverso una lenta opera di germanizzazione (effettuata con il trasferimento di coloni tedeschi) e di cristianizzazione, facente capo all'attivissimo arcivescovato di Magdeburgo.
Il sovrano tedesco fu molto attento anche alle possibilità di espansione della sua autorità sul Regno d'Italia. Dopo averne seguito le intricate vicende sin dall'inizio del suo regno, intervenendo infine a favore di Berengario d'Ivrea (
8.4), nel 951 discese in Italia e ridusse il suo protetto al rango di re-vassallo, assumendo in prima persona il titolo di re d'Italia. Nel 962, risolta la situazione sul fronte orientale, Ottone I poté infine dare corpo a un grande progetto: la rinascita del Sacro Romano Impero. Disceso in Italia, depose il reggente Berengario e si fece insignire della corona imperiale da papa Giovanni XII (955-63). Subito dopo però promulgò il cosiddetto
Privilegio ottoniano, con cui rivendicava il diritto dell'imperatore a pronunciarsi preventivamente sull'elezione dei pontefici, e l'obbligo, per questi ultimi, di giurare fedeltà all'imperatore. Ottone depose poi Giovanni XII e nominò al suo posto il proprio segretario, con il nome di Leone VIII (963-64). La situazione creata da Leone III con l'incoronazione di Carlomagno si rovesciava, e il vescovo di Roma diventava un fantoccio nelle mani del potere politico. Il Privilegio ottoniano non si limitava a subordinare l'autorità papale a quella imperiale, ma sanciva anche il divieto, per i papi, di eleggere imperatori che non fossero di stirpe germanica. Nasceva così il
Sacro Romano Impero di nazione germanica, che attraverso alterne vicende sarebbe restato in vita fino al 1806, quando fu abbattuto da Napoleone Bonaparte.
Nel 966 Ottone scese nuovamente in Italia e iniziò la conquista delle regioni del Meridione che ancora sfuggivano al suo controllo. I suoi eserciti si spinsero fino in Puglia e in Calabria, mentre i duchi longobardi di Benevento e di Capua si dichiaravano suoi vassalli. L'imperatore di Bisanzio corse subito ai ripari riconoscendo il titolo imperiale di Ottone e concedendo in moglie sua figlia Teofane al figlio di lui, Ottone II. Era il 973: lo stesso anno Ottone I di Sassonia morì. Il suo lungo regno aveva mostrato che l'Impero non era soltanto un'idea astratta e utopistica, cancellata ormai da forze centrifughe troppo forti, ma una realtà politica vitale, risorta dall'unione tra il papato e la nazione germanica.
Ottone II (973-83) riprese la politica paterna di espansione verso il Meridione d'Italia, sia per ottenere le terre che erano state promesse in dote a Teofane, sia per scacciarne i musulmani. Ma questi ultimi annientarono le sue truppe a Stilo in Calabria, nel 982. Pochi mesi dopo, l'imperatore morì, non ancora trentenne. Lasciava come erede un bambino di tre anni, Ottone III. La madre Teofane e la nonna Adelaide assunsero la reggenza.
Quando, compiuti i diciannove anni,
Ottone III (983-1002) assunse il potere effettivo, mostrò subito la volontà di realizzare progetti grandiosi. Educato da un maestro di altissimo livello, Gerberto d'Aurillac, all'amore per la cultura classica e spinto dal monaco calabrese Nilo da Rossano verso l'ascetismo, il giovane sovrano sognava addirittura di realizzare, su base cristiana, una rinascita dell'antico Impero universale di Roma (renovatio imperii). Trasferì quindi la sua residenza nella città che più di ogni altra si presentava come universale e cristiana, la vecchia "aurea" Roma, e nominò Gerberto d'Aurillac papa con il nome di Silvestro II (999-1003). Questa politica scontentò però l'aristocrazia germanica, che si sentiva offesa ed esautorata, e non trovò comprensione nemmeno in Italia, tanto sembrava velleitaria e irrealizzabile. Alcuni tumulti scoppiati nella capitale costrinsero addirittura il papa e l'imperatore a una precipitosa fuga. Poco tempo dopo, nel 1002, Ottone III moriva, a soli ventidue anni.
Estinta la dinastia di Sassonia, l'Impero germanico passò nelle mani di Enrico II di Baviera (1002-24) e, poi, di
Corrado II il Salico (1024-39), fondatore della
dinastia di Franconia. Entrambi gli imperatori dovettero affrontare tentativi da parte della grande feudalità italiana di imporre propri candidati al regno d'Italia. Ma a questi sussulti di ribellione, che rientravano nella tradizione dei difficili rapporti tra potere monarchico e imperiale e potenti vassalli, si aggiunse un fenomeno nuovo: il contrasto, interno alla gerarchia feudale, tra grandi signori e i loro diretti sottoposti, i valvassori. Questi ultimi manifestarono con particolare vigore in Italia centrosettentrionale (ma anche in Francia e in Germania) l'aspirazione a ottenere l'ereditarietà dei propri benefici - un privilegio che i grandi feudatari detenevano già dall'877 (
8.1).
A Milano il conflitto sfociò nello scontro armato tra valvassori e grande nobiltà (capitanei) appoggiata dall'arcivescovo della città, Ariberto d'Intimiano. Corrado II fu invitato da entrambe le parti a definire la disputa. Disceso in Italia, l'imperatore, ritenendo opportuna una riduzione del potere di Ariberto d'Intimiano e della grande feudalità, emanò, nel 1037, la
Constitutio de feudis (p. 173) in cui l'ereditarietà dei benefici feudali era garantita anche ai valvassori. Questa scelta, che in realtà indeboliva fortemente la coesione della gerarchia feudale, non portò, peraltro, alla pacificazione di Milano: Ariberto d'Intimiano, arrestato, evase e fece sollevare la città, chiedendo l'appoggio di una forza che per la prima volta si affaccia sulla scena politica medievale: il popolo, cioè i cittadini benestanti non nobili, organizzati sotto la guida di Lanzone della Corte. I "popolani", decisi ad acquisire un ruolo di rilievo nel governo della città, si ribellarono a loro volta contro l'arcivescovo (costringendolo alla fuga) e contro i grandi feudatari che dominavano Milano. Nella riconciliazione generale, avvenuta solo nel 1045, dopo la morte di Ariberto d'Intimiano, il "popolo" ottenne il diritto di partecipare al governo di Milano con propri autonomi rappresentanti: la via all'esperienza politica comunale (
9.5) appare qui già chiaramente tracciata.
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