8.2 Le ultime invasioni
Mentre la grande impalcatura carolingia si dissolveva, sull'Europa cristiana si addensava, sempre più minaccioso, il pericolo di nuove invasioni: tra la fine del IX e la metà del X secolo, arabi, vichinghi, ungari devastarono e saccheggiarono le coste, le città, le campagne del Nord e del Sud, suscitando ovunque antichi terrori. Era dai tempi delle grandi invasioni barbariche che l'Europa non affrontava nemici così pericolosi.
Consolidati i domini che avevano conquistato in Spagna, in Africa e in Oriente, i
saraceni - così in quell'epoca venivano chiamati gli arabi dal nome che indicava anticamente i soli beduini del Nord Africa - approfittarono della passività e della debolezza dell'Impero bizantino e nell'827 iniziarono la conquista sistematica della Sicilia: la posizione al centro del Mediterraneo, la fertilità della terra, la ricchezza di boschi, preziosi per le costruzioni navali, conferivano a quest'isola un'importanza strategica ed economica eccezionale. La marcia dei saraceni, lenta ma regolare, li portò in circa ottant'anni al completo controllo dell'isola (coronato nel 902 dalla presa di Taormina). Sotto il dominio arabo la Sicilia attraversò un periodo di grande splendore: divenne il centro dei traffici tra l'Africa e l'Europa, tra l'Oriente e l'Occidente; si coprì di monumenti e di opere pubbliche; la sua agricoltura si arricchì di nuove colture, come quella degli aranci, dei mandarini e dei limoni. Palermo, florida e popolosa, divenne la punta di diamante di questa crescita.
Ma i saraceni non si limitarono a impadronirsi della Sicilia e a farne una delle regioni più floride del loro dominio: dall'isola essi portarono violenti attacchi all'Italia meridionale, occuparono Taranto e Bari e vi costituirono due emirati, saccheggiarono Roma (846) e le coste tirreniche e adriatiche. Anche se i bizantini riuscirono a cacciarli dalle loro basi nella penisola, il terrore delle incursioni saracene rimase diffuso ovunque: su navi velocissime, attrezzate per la guerra di corsa, i musulmani penetravano nei porti mediterranei, s'inoltravano nell'entroterra, saccheggiavano le campagne, i monasteri, i santuari, catturavano uomini e donne e li rivendevano come schiavi nei territori musulmani. Nell'890 s'insediarono in piena Provenza, a Frassineto; per decenni da questa base fortificata essi effettuarono incursioni nelle valli alpine e nella pianura piemontese. Frassineto fu espugnata soltanto nel 973 dalle forze congiunte del marchese di Torino e del conte di Provenza.
Mentre i saraceni colpivano duramente gli insediamenti delle coste mediterranee, una popolazione proveniente - come un tempo gli unni e gli àvari - dalle steppe degli Urali, si stabilì in Pannonia. Ottimi cavalieri gli
ungari effettuavano violente scorrerie nel cuore stesso dell'Europa: tra l'896 e il 955 essi s'inoltrarono per ben trentacinque volte nelle regioni cristiane, devastarono le campagne e i monasteri della Germania e della Gallia, della Pianura Padana, del Centro Italia; città come Pavia e Strasburgo subirono saccheggi gravissimi.
Come le ultime incursioni arabe, quelle ungariche non miravano all'acquisizione di nuove terre, ma unicamente a far preda: oro dei santuari e delle dimore dei ricchi, bestiame e raccolti dei campi, e soprattutto schiavi, che venivano condotti in patria o rivenduti altrove. Una grande vittoria militare dell'imperatore Ottone I a Lechfeld, nel 955 (
8.5), indusse gli ungari ad abbandonare il loro modo di vita seminomade e a insediarsi in Ungheria, la regione (corrispondente all'antica Pannonia) che da loro ha preso il nome. Il primo re d'Ungheria, Stefano (1000-1038) che fu poi santificato, ricevette la corona dalle mani del papa nel Natale dell'anno 1001.
Il colpo definitivo all'Impero carolingio fu però inferto dai
normanni ("uomini del Nord", come li chiamavano in Europa) o
vichinghi, come preferivano chiamarsi essi stessi: popolazioni germaniche (svedesi, norvegesi, danesi) che nel IX secolo cominciarono a sciamare dalla Scandinavia in tutte le direzioni, per dare sfogo al sovrappopolamento delle loro comunità. Fino a quel momento, i vichinghi avevano vissuto soprattutto di un allevamento e di un'agricoltura elementari, della caccia agli animali da pelliccia e delle frequenti razzie lungo le coste baltiche e del Mare del Nord: erano infatti eccellenti marinai e costruttori di navi. La loro era stata una società rigidamente ugualitaria, senza squilibri; un'equa distribuzione delle risorse e un forte spirito guerriero basato sulla parità di tutti gli uomini in arme avevano conferito coesione e omogeneità alle loro tribù. Ma l'avventura che essi tentarono alla fine del IX secolo li avrebbe immessi con un ruolo non secondario nel gioco delle grandi potenze europee.
Una parte delle tribù vichinghe già a partire dalla fine dell'VIII secolo, attraversò la steppa russa e, seguendo il corso del Dnjepr, giunse nelle regioni del Mar Caspio e del Mar Nero, dove dominava la potenza di Bisanzio. Questi gruppi, di origine prevalentemente svedese, furono detti dalle popolazioni slave indigene
vareghi e, oltre che per le spedizioni di razzia (addirittura cinsero d'assedio Costantinopoli nell'886), si distinsero nella fondazione di floride attività commerciali: avviarono, infatti, una regolare corrente di scambi tra le regioni baltiche e l'Impero bizantino, cui fornivano schiavi, pellicce, ambra, cera, miele, legname. Il primo insediamento varego politicamente significativo fu il Principato di Novgorod.
La grande espansione vichinga avvenne però sul mare: tra l'874 e il 930 fondarono in Islanda, isola fino ad allora disabitata, una comunità di contadini e pescatori; mezzo secolo dopo giunsero in Groenlandia e la colonizzarono; di lì si spinsero poi nella favolosa Vinland ("terra del vino"), che secondo alcuni storici corrisponderebbe addirittura all'America del Nord. Un altro gruppo si stanziò nell'Inghilterra centromeridionale e in Irlanda. Intanto navi normanne attaccavano le coste della Germania, della Francia, della Spagna, della Toscana, risalivano il corso dei fiumi, catturavano uomini e donne e riportavano ingenti bottini.
Nell'887 un'ennesima incursione normanna si spinse fino a Parigi e pose l'assedio alla città. L'imperatore
Carlo il Grosso (881-87), che era riuscito a riunire le corone di Francia, d'Italia e di Germania, facendo credere per un momento di poter risuscitare l'antica unità dell'Impero carolingio, preferì pagare agli invasori un forte tributo in cambio della salvezza di Parigi, piuttosto che combattere. Approfittando dello scandalo suscitato da questo gesto senza precedenti, i grandi feudatari - che già da un decennio avevano ottenuto l'ereditarietà dei propri benefici (
8.1) - intervennero e lo destituirono. Iniziò così un lungo periodo di lotte per il trono di Francia che si sarebbe concluso con il crollo della dinastia carolingia (
8.4).
Nel 911 una nuova scorribanda costrinse il re di Francia Carlo il Semplice (898-922) a concedere al capo normanno Rollone (che si fece battezzare) il possesso di alcune contee settentrionali del regno: sorse così il Ducato di Normandia, modellato (ma in modo più rigido) sulle analoghe strutture feudali esistenti allora in Europa. Ma il grande avvenire dei normanni sarebbe stato altrove, nella creazione o nel controllo di importanti compagini statali in Inghilterra e in Italia (
8.4).
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