17.3 Il Ducato di Milano
Nel XIII secolo la città di Milano si era ormai da tempo affermata come uno dei centri più attivi e popolosi dell'Europa occidentale: un'agricoltura avanzata, praticata su terreni pianeggianti e fertili, una fitta ed efficiente rete di canali navigabili, la floridezza dei commerci e delle manifatture (soprattutto quelle metallurgiche) conferivano alla città un primato difficilmente contrastabile. Questo primato si impose anche sotto il profilo militare, con un'espansione che le altre città della penisola faticarono a contenere.
La grande avventura di Milano si identifica con la dinastia dei
Visconti, una potentissima famiglia ghibellina che affermò la propria signoria sulla città dopo un'aspra lotta con la famiglia rivale dei guelfi Torriani. Il fondatore della dinastia può essere considerato Matteo Visconti (1311-1322), che governò con il titolo di vicario dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo (
13.6) per Milano e il suo distretto. In quegli anni la concessione di vicariati era un aspetto fondamentale della politica imperiale in Italia e non furono pochi i personaggi di rilievo che ottennero lo stesso privilegio (per esempio Filippo di Savoia su Pavia, Vercelli e Novara, Passerino Bonacesi su Mantova, Alboino e Cangrande della Scala a Verona, e tanti altri). La concessione prevedeva il pagamento, da parte del beneficiario, di somme ingenti, che andavano a rimpinguare le magre finanze della corte imperiale e rimaneva valida fin tanto che (cosa peraltro assai improbabile) l'imperatore non avesse restituito quanto ricevuto. Ottenuta la legittimazione del suo potere con il titolo di vicario imperiale, Matteo Visconti intensificò quella politica di conquiste e di annessioni in Italia settentrionale verso la quale Milano sembrava già da tempo fortemente incline. Proseguita dai suoi successori Azzone (1329-39) e Luchino (1339-1349), questa politica portò alla creazione di un vasto dominio, che dal territorio milanese si estendeva in Lombardia (con il controllo di città importanti come Lodi, Cremona, Bergamo, Pavia, Como), in Piemonte (Vercelli, Novara, Alessandria), in Emilia (Parma, Piacenza, Bologna), in Svizzera (Bellinzona, Locamo), in Liguria (Genova).
La potenza viscontea raggiunse il suo culmine sotto
Gian Galeazzo (1378-1402), che portò il dominio milanese nel Veneto, dove acquisì Verona, Vicenza e Padova, in Toscana, dove sottomise Lucca, Pisa e Siena e in Umbria, con il controllo di Perugia, Spoleto e Assisi. Gian Galeazzo divenne così uno dei più importanti signori d'Europa, e si comportò come tale: sposò Isabella, figlia del re di Francia Giovanni II e ottenne dall'imperatore Venceslao il titolo di duca di Milano (1395), trasformando in tal modo la sua signoria in principato; la sua corte, ricca e fastosa come quella di un re, richiamava artisti e letterati (p. 379).
Il Ducato di Milano sembrava avviato, sotto la guida di Gian Galeazzo, a espandersi ulteriormente verso sud, rafforzando le basi di un dominio suscettibile di inglobare l'Italia intera e di portare a compimento quel processo di unificazione che in altri paesi europei era già una realtà. Il probabile crollo di Firenze, che non appariva più in grado di resistere alla potenza viscontea, avrebbe certamente conferito maggiore concretezza a questa possibilità. Ma l'improvvisa morte di Gian Galeazzo, nel 1402, e le reazioni che essa scatenò all'interno e all'esterno della città di Milano, rimisero in discussione l'intera impalcatura costruita dai Visconti, fino a minacciare l'esistenza stessa del Ducato. Gian Galeazzo, infatti, era stato un condottiero prestigioso, ma non aveva edificato, nei suoi territori, quelle strutture amministrative centralizzate, né intrapreso quell'opera legislativa che avrebbero consentito un normale trapasso del potere al suo successore.
Sotto il successore di Gian Galeazzo, Giovanni Maria (1402-12) la dinastia viscontea riuscì a mantenersi al potere, ma non fu in grado di conservare le prestigiose dimensioni raggiunte dal Ducato di Milano. Una dopo l'altra franarono le precedenti acquisizioni territoriali e il potere dei Visconti si ridusse quasi esclusivamente a Milano e alla Lombardia.
Il rapido crollo del dominio visconteo esprime l'intrinseca debolezza delle compagini signorili, costruite brillantemente da individui dotati di grande talento politico e militare, ma lontane dall'assetto di uno Stato accentrato e organizzato: le signorie - anche le più potenti come quella viscontea - erano più un coacervo di territori che un insieme compatto capace di aggregare, valorizzandone le potenzialità, le terre e le città soggiogate. Le nuove conquiste si sommavano l'una all'altra mantenendo in vita tutto un groviglio, variabile da caso a caso, di diritti e privilegi, concessi alle città e ai feudatari. Anche dal punto di vista giuridico, le disposizioni emanate dal signore intervenivano a disciplinare casualmente, secondo le circostanze, questo o quel problema, ma non assumevano le dimensioni e lo spessore di un'attività legislatrice, in grado di modellare, su basi di più alta organizzazione statuale, la struttura della signoria.
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