8.8 La lotta per le investiture
I protagonisti di questa lotta furono papa
Gregorio VII (1073-85) e l'imperatore germanico
Enrico IV di Franconia (1054-1106). La posta in gioco era altissima: la supremazia universale.
Un documento pontificio del 1075, i cosiddetti
Dictatus papae, chiarì a tutti che il pontefice non aveva alcuna intenzione di rinunziarvi:
La Chiesa romana è stata fondata solo dal Signore. Solo il pontefice romano è detto a giusto titolo universale. Solo lui può deporre o ristabilire i vescovi. Un suo legato, nei concili, anche se inferiore di grado, è superiore a tutti i vescovi e può deporli. Non è lecito avere rapporti o coabitare con coloro che sono stati scomunicati dal papa. Egli solo può usare le insegne imperiali. Il papa è l'unico uomo a cui tutti i principi bacino il piede [...]. Il suo titolo è unico al mondo. Può deporre l'imperatore. Nessuno lo può giudicare [...]. Nessuno può condannare chi fa appello alla sede apostolica. La Chiesa romana non ha mai sbagliato né mai sbaglierà, come attesta la Sacra Scrittura [...]. Chi non è con la Chiesa romana non deve essere considerato cattolico. Il papa può sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà fatto agli ingiusti.
Rispetto ai temi già enunciati da Niccolò II, i Dictatus di Gregorio VII contenevano una rivendicazione fino a pochi anni prima impensabile: il diritto del papa a dichiarare decaduto l'imperatore e a esentare i suoi sudditi dall'obbedienza. La reazione di Enrico IV fu immediata: nel 1076 convocò a Worms un sinodo di vescovi tedeschi che bollò il papa come fomentatore di discordie e lo dichiarò decaduto. Il papa reagì con la scomunica. Il duello, a questo punto, sembrava impari. "L'Impero - è stato detto - era potente, ricco, obbedito tanto dai laici quanto dagli ecclesiastici; il papato era disarmato, relativamente povero e criticato da molti prelati che preferivano l'intervento intermittente dei laici al controllo continuo del papa". Ma il sentimento religioso delle masse e la volontà di autonomia dei grandi feudatari furono le carte vincenti di Gregorio VII: la scomunica non aveva infatti soltanto un significato religioso, ma scardinava anche i presupposti politici su cui si basava l'Impero, perché liberava i sudditi dall'obbedienza al sovrano.
Messo in gravi difficoltà dalle ribellioni che cominciavano a manifestarsi un po' dovunque, l'imperatore fu costretto a chiedere il perdono del papa, con la mediazione della contessa Matilde di Canossa e dell'abate Ugo di Cluny. La sua penitenza - tre giorni di attesa nella neve fuori del castello di Canossa, dove il papa tardava a riceverlo - gli valsero infine la revoca della scomunica (1077). Che il pentimento di Enrico IV fosse stato dettato unicamente dalle circostanze avverse, fu chiaro a tutti quando, consolidata la sua posizione, egli ricominciò a nominare vescovi, scese in Italia in armi, depose il papa e nominò al suo posto l'arcivescovo di Ravenna, che prese il nome di Clemente III. Gregorio, assediato a Castel Sant'Angelo, chiese l'aiuto di Roberto il Guiscardo, re dei normanni. I normanni liberarono il papa, ma occuparono Roma; i saccheggi e gli atti di violenza a cui si dedicarono inasprirono la popolazione che si ribellò al papa e lo costrinse a rifugiarsi a Salerno. Qui, solo e impotente, Gregorio VII morì nel 1085.
La lotta tra il papato e l'Impero sopravvisse a questi due grandi personaggi e travagliò l'Europa per alcuni decenni ancora. Alla fine, la stanchezza per una lunga serie di reciproche violenze e umiliazioni, spinse l'imperatore Enrico V di Franconia (1106-25), figlio di Enrico IV, che era morto nel 1106, e il pontefice Callisto II a ricercare un accordo, che venne perfezionato nel
concordato di Worms del 1122: l'investitura religiosa dei vescovi fu riservata al papa, mentre un'eventuale attribuzione di poteri politici rimaneva una prerogativa imperiale. Su questo principio di fondo si articolò una ripartizione territoriale: in Italia l'investitura religiosa doveva precedere quella laica; in Germania la laica precedeva la religiosa. Questo compromesso ebbe notevoli conseguenze sulla storia successiva di entrambe le regioni: in Italia esso accrebbe il peso politico del papato e sminuì quello dell'imperatore, in Germania avvenne il contrario.
Pur risolvendo il problema delle investiture, il concordato di Worms aveva lasciato del tutto aperta la lotta per il primato nel mondo cristiano. Lo scontro tra il Sacrum Imperium e l'Ecclesia romana avrebbe dominato ancora per molto tempo la scena politica europea. Non fu solo una contesa tra potenze, ma il punto di riferimento della lotta politica a tutti i livelli: ovunque i
ghibellini, difensori dell'"onore dell'Impero" (chiamati così perché seguaci della casa sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Weibling, in Sassonia:
12.1), si contrapposero ai
guelfi (chiamati così da Welf, il capostipite dei duchi di Baviera) fautori della "libertà della Chiesa romana".
Guelfo, ghibellino: furono queste le parole d'ordine negli antagonismi politici dell'epoca, tra le fazioni cittadine, tra le consorterie nobiliari, tra città e a volte anche tra regni contrapposti: col passare del tempo esse si snaturarono fino a perdere gran parte del significato originario e a diventare semplici etichette prive di una reale carica ideale e scisse dagli effettivi comportamenti degli adepti. Esse esprimono comunque, sul lungo periodo, una tendenza di fondo, che potremmo definire "bipolare", della società del tardo Medioevo.
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