1.6 Sommario
La causa principale della caduta dell'Impero romano d'Occidente fu lo squilibrio tra le colossali esigenze dello Stato (per far fronte alla pressione dei barbari) e la scarsa produttività (dovuta alla crisi demografica). Teodosio, alla sua morte (395), aveva diviso l'Impero tra i suoi due figli: ad Arcadio l'Oriente, a Onorio l'Occidente. Mentre il primo seguì una politica autonoma, il secondo accettò l'autorità del generale Stilicone che - dopo aver difeso in più occasioni l'Impero dai barbari - fu tuttavia messo a morte. La situazione si aggravò con il sacco di Roma ad opera di Alarico (410) e l'insediamento di altre popolazioni germaniche in varie zone dell'Impero. A metà del secolo gli unni di Attila invasero le Gallie e l'Italia settentrionale, ritirandosi poi dalla penisola dietro pagamento di un tributo. Nel 476 la deposizione di Romolo Augustolo ad opera di Odoacre sancì la fine dell'Impero romano d'Occidente, cui seguì il consolidamento, in tutta Europa, di vari regni romano-germanici, formalmente dipendenti dall'imperatore d'Oriente ma di fatto autonomi: il Regno dei vandali (costa settentrionale dell'Africa, Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia), il Regno dei visigoti (penisola iberica), il Regno dei franchi (Gallia), i Regni anglosassoni (in Inghilterra), il Regno degli ostrogoti (Italia).
Nei regni romano-germanici emergeva il grosso problema della convivenza tra popolazioni tanto diverse: solo molto lentamente furono superate le reciproche diffidenze. Le necessità di governo indussero le piuttosto rudimentali monarchie germaniche a conservare molte strutture dell'amministrazione romana; fu anche preservato il diritto romano, dando vita ad una organizzazione dualistica basata sulla personalità del diritto. L'esproprio delle terre da parte dei germani non sconvolse le tradizionali strutture agrarie basate sul latifondo; entro le società germaniche, invece, la distribuzione della terra provocò conseguenze di rilievo, mettendo in crisi la tradizionale struttura egualitaria e favorendo l'avvicinamento dell'élite barbarica alla classe dominante romana. L'organizzazione del lavoro agricolo restò fondata su schiavi e coloni, le cui condizioni si erano andate da tempo sempre più assimilando.
Tra il VI e il VII secolo raggiunse il suo acme lo spopolamento del continente europeo, causato dalle invasioni ma anche da una crisi economica che aveva radici negli ultimi secoli dell'Impero. Le condizioni dei contadini si fecero sempre più misere, aggravando il problema della manodopera agricola (il che incoraggiò la diffusione della schiavitù). La popolazione delle città subì un crollo, mentre i grandi proprietari si trasferirono in campagna provocando il parallelo trasferimento delle attività produttive urbane. La sopravvivenza delle città e il loro carattere di centro religioso furono garantiti dalla costante presenza del vescovo. Il declino del paesaggio agrario, caratterizzato ora dall'abbandono di terre coltivate da secoli e dalla diffusione dei pascoli e delle foreste, dipese anche dal modo di vita dei germani, che praticavano l'allevamento brado e avevano tradizioni alimentari diverse.
I barbari, consci del pericolo di perdere la propria identità di fronte a un popolo che usava da secoli la scrittura e possedeva una solida cultura giuridica e politica, attuarono, accanto a misure tese a favorire la convivenza, altre di tipo segregativo. La religione fu l'elemento che più di ogni altro separava i romani dai barbari. Tra questi ultimi, inizialmente ignorati dalla Chiesa, ebbe larga diffusione l'arianesimo; ma la Chiesa riprese l'iniziativa e, tra la fine del V e la fine del VII secolo, molte popolazioni germaniche si convertirono al cattolicesimo.
La grande fioritura della cultura classica aveva coinvolto in passato le varie province dell'Impero. Ma si trattava di una cultura urbana e aristocratica, sotto la cui superficie resistevano tradizioni precedenti la conquista romana; sicché la crisi del mondo antico portò a un risveglio delle culture indigene, che parlavano un linguaggio più vicino alle masse.
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