3.7 Sommario
Nel 568 l'Italia fu invasa dai longobardi, guidati da Alboino. Essi occuparono una parte della penisola e stipularono nel 603 un accordo coi bizantini che sancì la fine dell'unità politica dell'Italia. Ai bizantini restava il controllo di Sicilia, Sardegna, Corsica, Calabria, Puglia, Napoli, Lazio, Esarcato e Pentapoli; i territori longobardi comprendevano quasi tutta l'Italia settentrionale, la Toscana, i ducati di Spoleto e Benevento. La società longobarda era una società guerriera e la loro stessa monarchia, di carattere elettivo, si fondava sulle capacità militari del sovrano. Alla morte di Alboino, ucciso dalla moglie Rosmunda, seguì un periodo di anarchia, cui pose fine il re Autari che ricostituì l'autorità regia.
Al momento dell'invasione longobarda, l'Italia era un paese devastato dalla peste e dalla lunga guerra tra bizantini e goti. L'invasione accelerò il declino economico in atto da secoli; il commercio subì un crollo, e in molte zone le campagne lasciavano il posto alle foreste. Il dominio longobardo in Italia fu molto duro: a differenza degli ostrogoti, che avevano rispettato le tradizioni romane, i longobardi distrussero l'amministrazione civile romana e attribuirono alle popolazioni indigene una condizione politica inferiore. Inoltre annientarono gran parte della precedente classe dirigente romana e la gerarchia ecclesiastica, ed esercitarono sulle terre una signoria molto dura. Costituendo una percentuale minima dell'intera popolazione, vissero in piccoli gruppi familiari staccati rispetto al resto degli abitanti. Il dominio longobardo rappresentò una "frattura di civiltà" nella storia d'Italia. Esso lasciò inoltre profonde tracce nella stessa lingua come dimostrano i molti termini attuali di origine germanica.
Salito al trono alla fine del VI secolo, il re Agilulfo diede nuovo impulso alla politica di rafforzamento della monarchia, combattendo sia contro i bizantini che contro l'autonomia dei duchi. Le relazioni con la popolazione romana cominciarono a migliorare e la Chiesa intrattenne rapporti sempre più intensi con le autorità longobarde, svolgendo un'opera di proselitismo che culminò, alla metà del VII secolo, con l'adesione ufficiale del re Ariperto alla religione cattolica.
L'Editto di Rotari (643), prima raccolta di leggi scritte dei longobardi, fornisce un quadro della loro società a cento anni dalla conquista (per il periodo precedente si hanno invece scarsissime notizie). Il sistema sociale era fondato su una rigida distinzione tra liberi e non liberi. Le contese giudiziarie si fondavano non sull'accertamento dei fatti, ma sul prestigio sociale, sul giuramento o sul duello delle parti in causa. La società longobarda si basava sull'agricoltura e su rapporti di produzione di tipo signorile; particolare importanza avevano anche le attività della caccia e della raccolta. Tutto ciò denota una forte dipendenza dall'ambiente naturale e una scarsa rilevanza della vita urbana.
Liutprando, nella prima metà dell'VIII secolo, attribuì validità anche alla legge romana ponendo fine all'identificazione tra legge longobarda e capacità giuridica; questa decisione, che dipendeva dal maggior peso acquisito da elementi di origine romana, ebbe enorme importanza per i rapporti tra le due popolazioni. Dalla sua legislazione emerge anche il nuovo slancio del commercio, della circolazione monetaria e del prestito a interesse.
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