5.2 Maometto
Questa realtà complessa e variegata, tanto dal punto di vista antropico, che economico, che religioso, fu sconvolta e rimodellata da una vicenda i cui inizi si riassumono nella figura di Muhammad,
Maometto (570 ca.-632).
Sulla famiglia e sull'infanzia di Maometto siamo poco informati. Sappiamo che, rimasto orfano, fu allevato dal nonno, che ricopriva, alla Mecca, l'importante carica di guardiano della sorgente principale (era lui che dirigeva la distribuzione dell'acqua alle carovane). Sappiamo che all'età di 25 anni sposò una ricca vedova di nome Khadigia, e che questo matrimonio mise la sua esistenza al riparo da qualsiasi preoccupazione economica. Pur continuando a occuparsi di affari, Maometto ebbe quindi modo di dedicarsi alla meditazione e alla religione. Si trattò di un'esperienza segnata dal richiamo all'unità fondamentale del Divino e dalla relazione diretta con Dio.
Secondo la tradizione la svolta avvenne nel 610, quando, una notte, gli apparve l'arcangelo Gabriele, che rivelò di essere inviato da Allah e gli ordinò di pregare e recitare (quara'a, da cui deriva
Corano, la recitazione) la parola divina. Incoraggiato da Khadigia e dai familiari, tre anni dopo Maometto decise di intraprendere la predicazione.
Il contenuto originario di questa predicazione era semplice e suggestivo: Maometto invitava ad adorare Allah come unico dio, a fare atto di sottomissione (
islam) alla sua autorità, annunciava il giudizio finale in cui gli uomini sarebbero stati giudicati per le loro azioni, predicava la generosità e l'aiuto ai poveri; egli condannava inoltre alcune pratiche diffuse nella società tribale, come il matrimonio tra consanguinei e l'infanticidio delle figlie femmine.
Il messaggio incontrò subito il favore dei ceti meno abbienti e degli schiavi, ma affascinò anche alcuni membri delle famiglie più influenti della Mecca. Esso suscitò tuttavia la forte opposizione dei dirigenti quraishiti. Questi ultimi temevano infatti che l'appello al monoteismo frenasse - con gravissimi danni economici - l'afflusso dei pellegrini, richiamati alla Mecca da innumerevoli santuari e da svariate divinità.
La comunità dei sottomessi (muslim, da cui
musulmano) ad Allah dovette quindi subire le persecuzioni dei quraishiti. Una prima migrazione di donne e bambini prese la direzione dell'Etiopia cristiana, e la circostanza conferma l'esistenza di un legame tra la nuova religione e il cristianesimo; legame che è evidente, peraltro, in quei versetti del Corano che esaltano la figura della Vergine e ammettono il concepimento di Gesù da parte dello Spirito Santo, attribuendogli in tal modo una posizione di rilievo nella stirpe dei profeti che avevano preceduto Maometto.
La comunità musulmana crebbe malgrado le persecuzioni. Nel 622, per sottrarsi a una nuova minaccia, più grave delle precedenti, Maometto e i suoi seguaci decisero di emigrare e si rifugiarono nella città di Yathrib, un nodo molto importante lungo la via carovaniera che collegava la Mecca con la Siria e con l'Egitto. Questa emigrazione (o
egira) fondò la nuova era musulmana, che comincia precisamente nel giorno corrispondente al nostro 16 luglio 622 (primo giorno del calendario musulmano). La fuga dalla Mecca favorì lo spirito di coesione dei seguaci di Allah e incentivò al tempo stesso la diffusione del messaggio.
Dopo l'egira, Yathrib divenne la "città del profeta" (Madinat an-na-bi, da cui
Medina), e la casa di Maometto, riconosciuto ormai come unico intermediario tra i fedeli e Allah, un luogo di preghiera e di raccolta degli esuli. A Medina si precisò e sì definì il rapporto tra l'Islam e il giudaismo. In una prima fase il modello giudaico fu particolarmente forte. Maometto adottò per esempio i divieti alimentari ebraici e il digiuno; la preghiera comunitaria veniva inoltre recitata in direzione di Gerusalemme. Ma i rapporti tra le due religioni erano destinati a incrinarsi: malgrado le affinità, esse si differenziavano infatti su aspetti assolutamente centrali. Maometto si considerava un profeta della stessa stirpe di Noè, Abramo, Mosè e Gesù e, in quanto ultimo profeta, si riteneva depositario della rivelazione divina più pura e autentica. Questa convinzione era oggettivamente in antitesi alla concezione del popolo ebraico come popolo "eletto" da Dio. Per gli ebrei, di conseguenza, Maometto non era altro che un profeta arabo, che diffondeva nel suo popolo una sorta di imitazione del giudaismo. Quando l'impossibilità di conciliare queste visioni risultò evidente, si giunse all'aperta rottura: le tribù ebraiche di Medina, accusate di solidarizzare con i nemici dell'Islam, furono espulse e subirono massacri. Fu quindi modificato il rituale della preghiera, che da quel momento in poi venne recitata rivolgendosi non più a Gerusalemme ma alla Mecca, mentre il semplice digiuno fu sostituito dal lungo periodo di astinenza del ramadan (un mese lunare di collocazione variabile nel corso dell'anno).
A Medina la comunità musulmana acquistò anche una compattezza di tipo militare. Per sopravvivere, gli esuli si diedero infatti alle antiche ed eroiche attività dei beduini: la razzia, l'assalto alle carovane, il brigantaggio. Queste fiere attività guerriere, canalizzate soprattutto contro la Mecca, accrebbero il prestigio del profeta, diedero ulteriore coesione al gruppo e inaugurarono una fase di espansione che portò i musulmani a estendere il loro dominio su molte tribù e a sferrare l'attacco decisivo contro i nemici quraishiti: l'11 gennaio del 630, ottavo anno dell'egira, Maometto e i suoi seguaci entrarono trionfalmente nella Mecca. La città fu dichiarata città sacra dei musulmani, tutti gli idoli furono distrutti, la popolazione giurò fedeltà al profeta. Molte altre tribù della regione si convertirono.
Maometto morì nel giugno del 632, avvolto da un enorme prestigio.
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