11.8 La "pax Mongolica" e i viaggi di Marco Polo
L'enorme compagine mongola unificò gli spazi dell'Asia sotto un'unica potenza, rendendo quindi più sicure le grandi vie di comunicazione internazionali, che i mercanti e i missionari cristiani potevano ora percorrere con una certa libertà. Questa disponibilità dei mongoli ai contatti esterni non deve sorprendere: soldati di eccezionale valore, i mongoli avevano vinto troppo in fretta e avevano un enorme bisogno di consiglieri ed esperti nei vari campi dell'amministrazione. In Occidente, d'altro canto, il papato, unica forza europea in grado di fare politica su scala mondiale, cercò di utilizzare questa "pax Mongolica" (come venne definita la nuova situazione dei territori asiatici) per diffondere in quei lontani territori d'Oriente il messaggio evangelico. Ma, come sempre accade, i motivi religiosi si unirono a quelli economici.
L'iniziativa di questo incontro con l'Asia toccò alle città marinare italiane: mercanti in cerca di fortuna si avventurarono lungo le vie carovaniere che dalla Crimea, attraverso la Russia meridionale e il Turkestan, portavano in Cina, risalivano i valichi interminabili della Persia e dell'Afghanistan, si affidavano al ritmo dei monsoni e sbarcavano sulle coste dell'India, proseguendo di lì per i mari dell'Estremo Oriente. Molti ripetevano forse tra sé le parole che si leggono negli appunti di un mercante veneziano diretto in Cina: "Se questo viaggio finirà bene, starò bene per sempre, se no, dovrò vendere tutto quello che possiedo". Un altro mercante veneziano,
Marco Polo, visse per diciassette anni, fra il 1275 e il 1292, alla corte dell'imperatore dei tartari, il gran khan Kubilai, per il quale svolse importanti incarichi amministrativi e diplomatici. Grazie a questa straordinaria esperienza egli conobbe, come nessun altro europeo prima di lui, paesi e terre di antichissima civiltà, di cui la maggior parte dei suoi contemporanei ignorava persino l'esistenza; su altri paesi e su altre terre che non poté visitare di persona, Marco Polo raccolse informazioni che confluirono nelle pagine più fantasiose del Milione, il libro delle sue memorie cinesi. Tipica tra queste è la descrizione degli idolatri, dove il gusto del meraviglioso e l'interesse economico (il legno, le spezie) si combinano all'orrore del cristiano per riti e credenze giudicate aberranti:
La vita di codesti idolatri è un insieme di tali stravaganze e di diavolerie che non torna bene il trattenervisi sopra in questo libro: sarebbe troppo brutto ad udirsi per dei cristiani. Lasceremo perciò di costoro e vi conteremo di altre cose.
Una cosa sola vi dirò: voglio che sappiate che quando un idolatra di queste isole prende qualcuno che non sia dei loro amici, se non è in grado di riscattarsi con denaro, invita tutti i parenti e gli amici: "Io voglio, dice, che veniate a mangiare con me a casa mia". Ed il piatto che ammannisce loro è l'uomo che ha preso. Cotto s'intende. Reputano la carne umana la migliore vivanda che avere si possa [...].
L'incertezza delle concezioni antropologiche dell'epoca e la convinzione, tipicamente europea, che l'Oriente fosse una terra abitata sì da uomini normali, ma anche da giganti, nani, uomini senza testa, uomini con testa di cane, è alla base di un significativo errore di Marco Polo, che scambiò per esseri umani le scimmie della terra di Lambri:
Il Lambri [isola di Sumatra] è un regno che ha un suo proprio re. Si proclamano ligi al Gran Kan. Sono idolatri. Vi è verzino [un legno pregiato] in grande abbondanza. Hanno inoltre canfora e altre spezie di valore in gran quantità. [...] Sentite ancora quest'altra cosa degna di meraviglia. Dovete sapere che in questo regno ci sono degli uomini - la maggior parte degli abitanti - con più di un palmo di coda. Siffatti uomini non istanno in nessuna città: abitano all'aperto, pei monti.
Anche se l'Oriente poteva apparire ai viaggiatori europei - e persino a quelli, come Marco Polo, che più lo conobbero - come un mondo fantastico, dove tutto era possibile, un libro come Il Milione può essere giustamente considerato come il primo capitolo della letteratura scientifica moderna. Se oggi Il Milione può apparire come il culmine della cultura etnografica e geografica del tardo Medioevo, non bisogna tuttavia dimenticare che, per molto tempo, esso fu considerato un libro di favole, l'opera di un veneziano geniale ma millantatore: "È davvero un singolare paradosso - ha scritto Sergio Solmi - che un libro sostanzialmente così realistico e positivo potesse essere ritenuto un contesto di fiabe e di menzogne dai contemporanei e dai loro discendenti fino ad epoca a noi prossima; e costituire uno stimolante di sogni, di miraggi e allucinazioni per conquistatori e poeti". I racconti di Marco Polo non furono valutati giustamente perché la cultura europea e quella cinese vivevano ancora in un reciproco isolamento, in cui i rari incontri aprivano le porte della fantasia, non quelle della conoscenza sistematica. Non meraviglia, quindi, che un geografo di tutto rispetto come il cinese Chao Ju-kua inserisse questa breve e impressionante descrizione della Sicilia (e in particolare dell'Etna) in una sezione della sua opera dedicata alle "isole leggendarie": l'isola delle femmine, le Andamane, popolate da feroci cannibali, il Madagascar, terra abitata da un gigantesco grifone:
Il paese di Ssi-kia-li-ye [Sicilia] è vicino ai confini della terra di Lu-mei [Roma?]. È un'isola nel mare, larga un migliaio di miglia. Le vesti, i costumi e la lingua sono come quelli di Lu-mei. In questo paese c'è una montagna con una caverna molto profonda. Nelle quattro stagioni ne esce un fuoco. Visto da lontano, di mattina sembra fumo, di sera fiamma; osservato da vicino è come un fuoco fortemente rumoreggiante. La gente di questo paese porta su una pertica una grossa pietra del peso di cinquecento libbre, la getta dentro alla caverna e quindi, dopo un'esplosione, ne escono pietruzze come pietra pomice. Ogni cinque anni ne escono fuoco e pietre che scorrono fino alla costa e poi ritornano indietro. Gli alberi dei boschi attraverso ai quali scorrono non si sono bruciati, mentre le pietre che incontrano sono arse in cenere.
Le grandi culture del nostro pianeta vivevano, dunque, una storia autonoma, appena sfiorata dalla cognizione di una reciproca diversità.
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