9. I fondamenti del potere
9.1 La monarchia papale
La lotta tra le due potenze con aspirazioni universali, la Chiesa e l'Impero, rappresentava il fenomeno più importante dello scenario politico medievale. Ne abbiamo esaminato, nel capitolo precedente, alcuni aspetti cruciali. Ma essa coinvolgeva altri livelli che chiamavano direttamente in causa le teorie del potere e il rapporto tra la società, l'organizzazione politica, la divinità.
La Chiesa era concepita come un'istituzione creata per volontà divina e rappresentava l'intera società dei cristiani, senza alcuna distinzione. Ne facevano parte, quindi, sia il vescovo che il contadino, sia il re che l'imperatore, purché fossero battezzati. Il
battesimo era infatti il requisito di base, l'atto giuridico attraverso il quale si diventava membri della Chiesa, ritenuta a sua volta come un corpus, una corporazione, un'associazione giuridica.
Ricevuto il battesimo, il cristiano era tenuto a vivere secondo le regole cristiane, che riguardavano l'uomo come un tutto unico e indivisibile. Per noi, che siamo abituati a valutare l'attività umana secondo categorie differenziate (il politico, il religioso, l'economico...) questo principio medievale della totalità delle azioni umane, può essere molto difficile da capire. Eppure esso era il fondamento del rapporto tra il cristianesimo e la società.
Il contenuto della vera fede da seguire per meritare la vita eterna, i precetti e le norme da mettere in atto nella vita di ogni giorno, erano questioni su cui poteva pronunciarsi solo chi era veramente competente su di esse, chi ne possedeva la scientia. L'atteggiamento costante del vescovo di Roma, il papa, durante tutto il Medioevo, fu appunto quello di rivendicare in modo esclusivo il possesso di tale scientia, ponendosi così al di sopra degli altri vescovi, al sommo vertice della Cristianità. Tale pretesa si fondava, dal punto di vista dottrinario, sui poteri dati da Cristo a Pietro ("Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa..."): poiché i papi romani erano i successori di Pietro, ne avevano ereditato anche i poteri.
Ma le conseguenze di questo principio erano importantissime anche per un altro aspetto; le parole di Cristo a Pietro - "tutto ciò che legherai sulla Terra sarà legato anche in Cielo e tutto ciò che scioglierai sulla Terra sarà sciolto anche in Cielo" -, riprese nella famosa Lettera di Clemente (
4.1), venivano ritenute valide anche per i papi, successori di Pietro; di conseguenza il papato si proponeva come l'unica istituzione terrena le cui decisioni avessero effetto anche in cielo. Il papa, come disse il pontefice Innocenzo III, era "medius constitutus inter Deum et hominem", si trovava cioè a metà strada tra Dio e l'uomo, era l'intermediario tra la Terra e il cielo. Anche per questo spettava al papa il titolo di sanctus. Con tale appellativo non s'intendeva che egli fosse uguale ai santi della liturgia cristiana, ma si alludeva appunto al suo potere di produrre effetti in cielo.
Papa a nemine iudicatur, "nessuno può giudicare il papa": quest'altro principio fu anch'esso importante nella costruzione del potere pontificio, perché significava che nessun papa poteva essere ritenuto giuridicamente responsabile delle sue azioni. Come infatti Pietro non si era affermato all'interno della Chiesa, ma aveva costruito la Chiesa, così anche il papa non faceva parte della Chiesa, ma la Chiesa dipendeva da lui. Il papa era separato dal popolo cristiano, composto dai suoi sudditi (fossero essi i re o i semplici contadini) e questi non avevano alcun diritto su di lui. Quello papale era, infatti, un
potere teocratico: aveva origine divina, non umana.
Nella sua qualità di punto d'incontro tra il cielo e la Terra, il papa pretendeva di essere l'anello di distribuzione del potere dall'alto al basso, cioè da Dio verso tutte le altre istituzioni terrene. Secondo la dottrina papale, qualsiasi potere esistente nella Cristianità era, infatti, un potere derivato dal papa, una sua concessione, che come tutte le concessioni poteva essere anche revocata. Il pontefice pretendeva, quindi, di avere il potere di nominare e deporre imperatori, re, vescovi.
Da questi fondamenti del potere pontificio derivavano inevitabilmente gravi conseguenze sui rapporti tra il pontefice e le altre autorità e, perciò, sull'intero quadro politico dell'Europa medievale. In questo periodo il termine Europa, usato per altro molto raramente, aveva un'accezione esclusivamente geografica, non politica. Per definire le caratteristiche comuni dell'Occidente si usava invece il termine
Cristianità. In senso lato, Cristianità indicava tutte le terre abitate da cristiani, anche in Grecia e in Oriente. In senso più ristretto e preciso, la parola indicava invece l'insieme dei paesi europei che riconoscevano l'autorità del pontefice di Roma. Si trattava, dunque, di un'idea fondamentalmente religiosa e culturale, ma che si caricava anche di sfumature politiche nella misura in cui il papa si proclamava autorità superiore all'imperatore e a tutti i sovrani della "Cristianità".
Secondo la concezione papale i sovrani, in quanto cristiani e membri della Chiesa, dovevano sottostare al potere del papa. Il loro compito sulla terra era quello di sradicare il male (per esempio le eresie): se non ci fosse stato il male non ci sarebbe nemmeno stato bisogno della spada del sovrano. Stabilire che cosa fosse il male era però compito del pontefice, l'unico - come abbiamo visto - che avesse una scientia adatta al compito. Il sovrano era quindi considerato come un organo ausiliario, incaricato di assistere il papa nel suo supremo governo.
Da tutto quanto si è detto emerge chiaramente che la monarchia papale si fondava su una strettissima connessione tra fede e diritto. La fede nella divinità del papato (cioè nella sua origine divina) produceva l'accettazione delle leggi emanate dal papato, e queste, a loro volta, regolavano la fede. Stava proprio qui la grande forza del papato del mondo medievale; nel suo imporsi al tempo stesso nelle anime degli uomini e nella società.
Lo strumento fondamentale attraverso il quale la Chiesa fissava i criteri di base della sua presenza nella società era il
diritto canonico. Con questa espressione (derivante dal termine canoni con cui venivano chiamate le singole norme del diritto della Chiesa) s'intende il sistema delle norme giuridiche stabilite o fatte valere dalla Chiesa cattolica allo scopo di disciplinare tutti quei rapporti umani e sociali per essa rilevanti. Iniziata fin dall'età tardoantica, quando il cristianesimo fu riconosciuto dal potere imperiale come religione lecita (313 d.C.), l'elaborazione del diritto canonico era proseguita lungo tutta l'età medievale, e comprendeva tanto le norme stabilite dai Concili, tanto quelle elaborate direttamente dall'autorità papale. Un momento decisivo nell'elaborazione del sistema fu il cosiddetto Decretum Gratiani, compilato tra il 1139 e il 1148 da Graziano, monaco benedettino e professore all'Università di Bologna, che raccolse tutte le fonti canonistiche allora in uso, abrogò quelle desuete e conciliò fra loro quelle contraddittorie. Nel corso del XIII secolo e agli inizi del XIV il Decretum fu completato da varie altre raccolte di testi pontifici.
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