13.10 Sommario
Al rinnovamento del pensiero politico che si avviò nel XIII secolo contribuì soprattutto la riscoperta di Aristotele, e dunque di una concezione politica per molti aspetti opposta alle dottrine teocratiche (per Aristotele il potere supremo era detenuto dall'insieme dei cittadini, la politica non doveva essere riassorbita nella morale, doveva essere analizzata a prescindere da princìpi religiosi, ecc.). La riscoperta di Aristotele fu favorita dal fatto che il suo pensiero corrispondeva alle esigenze della nuova realtà comunale e dalla conoscenza del diritto romano (alla cui base stavano i concetti di "cittadino" e "cittadinanza"). La conciliazione tra pensiero aristotelico e concezione cristiana fu operata da Tommaso d'Aquino, il quale fondò la sua teoria (chiamata tomismo) sulla distinzione tra ordine naturale e ordine soprannaturale; le due realtà (che erano poi quelle, rispettivamente, dello Stato e della Chiesa) erano però complementari, e per questa via egli riconobbe la legittimità di un'organizzazione politica puramente umana (non a caso il tomismo poté essere utilizzato dai nemici del potere teocratico).
Alla fine del XII secolo i diretti possedimenti della monarchia francese erano assai modesti rispetto a quelli dei grandi feudatari e ai feudi francesi del re d'Inghilterra. Attraverso la riacquisizione del controllo diretto di molte regioni e il potenziamento dell'amministrazione (cui poterono accedere anche elementi borghesi), Filippo II Augusto fece della Francia una delle più forti monarchie dell'Occidente.
La necessità di accrescere le entrate finanziarie della corona spinse il re di Francia Filippo IV il Bello a imporre decime al clero senza il consenso papale. Da ciò ebbe origine un duro scontro tra il re e il papa Bonifacio VIII, scontro che coinvolse la questione della superiorità (contestata dal primo e rivendicata dal secondo) del potere papale sul potere monarchico anche in campo temporale. Il re di Francia non condusse la lotta solo sul piano dottrinale; infatti mobilitò tutta la popolazione a sostegno della rivendicazione di autonomia del papato, e giunse a far imprigionare lo stesso Bonifacio VIII. La vittoria del re di Francia segnava la fine di un'epoca, testimoniando la decadenza del papato e il carattere inarrestabile del rafforzamento delle grandi monarchie.
L'intesa tra Francia e papato dopo la morte di Bonifacio VIII condusse all'elezione di vari papi francesi, che trasferirono la loro sede ad Avignone. Nel periodo avignonese (1305-77) il lusso e le spese astronomiche della corte papale, la vendita di cariche ecclesiastiche e di indulgenze portarono il prestigio del papato ai livelli più bassi della sua storia.
La dottrina tomistica e le sue elaborazioni in chiave antipapale avevano affermato l'autonomia, almeno relativa, di politica e religione. Un ulteriore passo in questa direzione fu compiuto da Marsilio da Padova che sostenne l'assoluta estraneità delle due sfere e individuò nella volontà del popolo l'unica autentica fonte di legge. La critica al papato, formulata dallo stesso Marsilio, fu condotta a più estreme conseguenze da Guglielmo di Occam che negò che il papa avesse autorità assoluta in campo spirituale.
Nel corso del XIV secolo il potere imperiale mostrò segni di declino. Tale potere - che formalmente si esercitava su Germania, Italia e Borgogna - rimaneva in larga misura teorico. Il tentativo di Enrico VII di riaffermare il dominio imperiale sull'Italia si scontrò con l'opposizione guelfa capeggiata da Firenze e da Carlo d'Angiò, re di Napoli, e si risolse in un insuccesso. Il motivo principale della debolezza imperiale risiedeva nel fatto che l'imperatore era eletto dai sette grandi elettori tedeschi: ciò comportava continue guerre civili, mancanza di continuità dinastica, smembramento del patrimonio imperiale nello sforzo di comprare i voti per la propria elezione.
Trasferita ad Avignone la sede papale, Roma si impoverì e divenne arena delle lotte tra i nobili. Capeggiando una rivolta popolare, Cola di Rienzo si impadronì del governo della città. Personaggio di umili origini, egli sviluppò un utopistico progetto secondo il quale Roma avrebbe dovuto guidare la lotta di tutti gli italiani per la libertà. Le preoccupazioni papali di fronte a tale progetto, unite agli aspetti eccentrici e dispotici del nuovo governo repubblicano, provocarono la fine di Cola, massacrato nel corso di una sommossa popolare. Il compito di ristabilire l'autorità papale fu affidato ad Egidio di Albornoz: alla sua opera e alle "costituzioni" da lui emanate si fa risalire il fondamento dello Stato pontificio.
La elezione a papa del napoletano Urbano VI fu contestata dai cardinali francesi che gli contrapposero un altro papa, Clemente VII; i vari Stati europei scelsero tra l'uno e l'altro. Iniziò così il Grande scisma, che lacerò la Chiesa sino al 1417. La soluzione dello scisma, con il Concilio di Costanza che elesse un unico papa, segnò il successo del conciliarismo (la dottrina che affermava la superiorità del concilio sul papato), presto battuto, però, dall'opposizione papale. Il ritorno della Chiesa al proprio assetto tradizionale favorì la ripresa delle correnti ereticali (i cui maggiori esponenti furono Wycliffe e Hus).
In Inghilterra il processo di rafforzamento della monarchia iniziò prima che in Francia e, soprattutto, coinvolse i grandi feudatari. Tappa fondamentale di tale processo fu la concessione, sotto la pressione dei baroni inglesi, della Magna Charta (1215) da parte di Giovanni Senza Terra; la carta garantiva le libertà dei nobili, della Chiesa e delle città, e sottoponeva anche il re al rispetto della legge.
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