6.2 Origine e consolidamento del Regno franco
La soluzione c'era, e si trovava al di là delle Alpi, nel territorio dei
franchi. Questo popolo germanico, che dopo la caduta di Roma nel 476 aveva formato una forte compagine sotto la guida del re
Clodoveo (481-511), fondatore del dominio merovingio (da Meroveo, leggendario condottiero di una tribù franca del V secolo) in Gallia. Clodoveo consolidò la supremazia del suo popolo sconfiggendo i turingi, insediati nelle foreste dei bacini della Weser e dell'Elba, gli alemanni, che cercavano di avanzare lungo il basso corso del Reno, i visigoti, ai quali fu sottratta gran parte dell'Aquitania. Egli pose inoltre il centro del suo Regno in un'antica città romana, Parigi (Lutetia Parisiorum). A differenza di altre popolazioni germaniche, che erano già state convertite all'arianesimo (
1.4), i franchi erano ancora pagani, e questo favorì il loro passaggio diretto al cattolicesimo; Clodoveo si convertì infatti intorno al 496, prendendo il battesimo dalle mani di un grande personaggio, San Remigio di Reims.
La rapida conversione dei franchi al cattolicesimo ebbe importanti ripercussioni anche sul piano politico e sociale. Il battesimo di Clodoveo portò infatti alla giovane monarchia franca il consenso e l'appoggio dell'aristocrazia gallo-romana, dalle cui file venivano reclutati i vescovi di quelle regioni: si operò così una saldatura tra i vertici del popolo guerriero e vincitore e le aristocrazie delle popolazioni romane.
Malgrado questi rapidi e notevoli successi, la monarchia franca era minata da alcuni gravi elementi di debolezza, che spingevano alla frammentazione politica. Alla irrequietezza dell'aristocrazia guerriera, che mal tollerava la presenza di una forte monarchia, si aggiungeva la concezione patrimoniale del regno, in base alla quale il regno, alla morte del sovrano, doveva essere spartito tra tutti gli eredi come fosse un patrimonio di famiglia. Così, alla morte di Clodoveo, nel 511, il Regno franco fu diviso fra i suoi quattro figli. Si aprì di conseguenza un periodo di gravi contrasti politici e di lotte fratricide, che non impedì tuttavia ai guerrieri franchi di riportare altri importanti successi militari, con la sottomissione della Turingia (531), della Burgundia (533), della Provenza (536).
Nei primi decenni dell'VIII secolo, quando papa Gregorio II cercava una soluzione politica e militare alla drammatica crisi iconoclastica (
6.1), i franchi occupavano ormai quasi tutta la Gallia e parte della Germania, e il loro Regno godeva di grandissimo prestigio nel mondo cristiano e in particolare presso i vescovi di Roma; non solo infatti combatteva da tempo contro tribù barbare pagane, come i frisoni, gli alemanni, i bavari e i sassoni, che minacciavano di dilagare di nuovo per l'Europa, ma uno dei suoi "maggiordomi" (un termine derivato dal latino maior domus, che nella gerarchia franca indicava il capo dell'amministrazione delle terre e del fisco reali), Carlo Martello (689 ca.-741), aveva bloccato a Poitiers, nel 732, il pericolo di un'incursione musulmana dalla Spagna verso occidente. I franchi - molto più dei longobardi, che si erano convertiti in tempi assai più recenti e che avevano continuato a oscillare tra il cattolicesimo e la fede ariana, tra il rispetto per la Chiesa e il tentativo di piegarla alla loro supremazia politica - apparivano ai papi i protettori ideali nelle loro aspirazioni di indipendenza politica e nel conflitto che si era aperto con Bisanzio.
Stava così per verificarsi una vera e propria svolta che avrebbe avuto per l'Italia e per l'Europa intera conseguenze decisive. La Chiesa di Roma, tradizionalmente fedele all'imperatore d'Oriente, che fin allora aveva riconosciuto come l'unico imperatore "romano" di pieno diritto, poneva le basi per un distacco da Costantinopoli che si sarebbe via via approfondito fino a diventare incolmabile. Contemporaneamente, rivolgendosi ai franchi, gettava un ponte fra l'Italia e l'Europa continentale legando strettamente le sorti dell'una a quelle dell'altra.
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