7.4 Il tempo
Quanto si è osservato a proposito della concezione medievale dello spazio, vale ugualmente per la concezione del tempo. Anche sotto questo profilo il mondo naturale non era separabile da quello celeste. Il tempo terreno è solo un frammento dell'eternità e la storia umana, oltre a un principio, ha anche una fine, rappresentata dal Giudizio universale. La successione dei tempi è immaginata come la successione dei sei giorni di una settimana, prima dell'ultimo e conclusivo, la domenica. La storia umana è giunta al culmine del suo sesto giorno e il mondo è quindi ormai decrepito. L'affermazione di Ottone di Frisinga, il celebre cronista tedesco del XII secolo - "Noi vediamo il mondo venir meno ed esalare, per così dire, l'ultimo respiro dell'estrema vecchiaia" - può essere considerata come paradigmatica di un pensiero molto diffuso.
Un cupo pessimismo aleggia in tutta la cultura del tempo: si è convinti di vivere in un'epoca di decadenza, troppo lontana, anche moralmente, dalle età precedenti, che avevano visto la presenza di Cristo e la diffusione della sua Parola.
La gente comune aveva una scarsa consapevolezza dello spessore del tempo passato e lo appiattiva sul presente: i primi crociati erano convinti addirittura di andare a punire i veri e propri carnefici di Cristo, e non i loro discendenti. Questa scarsa cognizione della cronologia amplificava inoltre le dimensioni della responsabilità collettiva: tutti gli esseri umani portavano su di sé la terribile responsabilità del peccato originale, così come tutti gli ebrei erano complici della crocefissione di Cristo. Ognuno, dunque, aveva il suo fardello, lasciato in eredità da un passato che sembrava appena di ieri.
Per misurare il tempo quotidiano gli uomini del Medioevo avevano un'attrezzatura piuttosto rudimentale: usavano le meridiane solari, inutili però se una nube offuscava il cielo (si pensi ai lunghi e grigi inverni del Nord!), le clessidre, che però dovevano essere continuamente capovolte e s'inceppavano facilmente, le candele, che bruciavano tuttavia più o meno rapidamente in rapporto alla qualità e allo spessore; ma usavano anche le preghiere (il tempo di un pater o di un'ave...). Il tempo degli orologi, calcolato matematicamente e scandito con regolarità, era ancora lontano.
Nell'economia medievale l'agricoltura era l'attività principale, e il tempo era quindi un
tempo agricolo, dominato dalla natura e dalle sue grandi partizioni: il giorno, la notte, le stagioni. I dodici mesi dell'anno, raffigurati ovunque, nelle sculture delle chiese come negli affreschi e nelle miniature, si distinguevano per il lavoro agricolo che a ognuno competeva: c'era il mese della semina e quello del raccolto, quello della vendemmia, quello della potatura e quello della macellazione. La giornata era scandita dall'alternanza del giorno e della notte e dal suono delle campane, che dalle chiese e dai monasteri indicavano il momento delle funzioni liturgiche: i contadini nelle campagne e gli artigiani nelle città, regolavano il loro lavoro sul suono delle campane. Il fenomeno era talmente integrato ai ritmi della vita quotidiana che un autore medievale arrivò a proporre questa strana ma significativa etimologia della parola "campana": "Le campane si denominano così dai contadini che vivono nel campo e che non sanno giudicare le ore se non dalle campane".
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