6.5 La politica religiosa
Nella coscienza di Carlomagno e dei suoi guerrieri, quello dei franchi era il Regno cristiano per eccellenza, al quale Dio aveva affidato un'altissima missione: convertire l'Europa. L'espansionismo franco assunse sin dall'inizio i caratteri della guerra santa contro i nemici della vera fede. Questo motivo ideologico è dominante ad esempio nel resoconto della lotta contro i sassoni scritto a corte dal monaco Eginardo:
Come quasi tutte le popolazioni della Germania, i sassoni erano selvaggi, idolatri e nemici della religione cristiana. La violazione dei precetti divini e umani non era da loro considerata peccato. Poiché nella pianura i loro territori confinavano con i nostri, spesso subivamo da parte loro ruberie, incendi, stragi. Alla fine i franchi, non potendo sopportare questa situazione, decisero di condurre apertamente la guerra.
La guerra durò ininterrottamente 33 anni. Senza la mancanza di fede dei sassoni, si sarebbe potuto concluderla più presto. Ma, vinti ripetutamente e sottomessi al re, costretti a giurare obbedienza e a consegnare ostaggi, dopo essersi perfino dichiarati disposti ad abbandonare i loro culti e a convertirsi al cristianesimo, non mantennero mai le promesse. Alla fine il re piegò la loro resistenza: 10.000 persone, tra le quali donne e bambini, furono trasferite dalle rive dell'Elba, a piccoli gruppi, in diversi territori della Gallia e della Germania. I sassoni e i franchi dovevano formare un solo popolo.
Per formare un solo popolo con i franchi era necessario che i sassoni rinunciassero alla loro fede pagana, alla quale erano tenacemente attaccati. Ed ecco le disposizioni di Carlo su questo punto:
Chiunque, per disprezzo del cristianesimo rifiuterà di rispettare il santo digiuno quaresimale e mangerà allora della carne, sarà messo a morte [...]. Chiunque darà alle fiamme il corpo di un defunto secondo il rito pagano, sarà messo a morte. Ogni sassone non battezzato che cercherà di nascondersi fra i compatrioti e rifiuterà di farsi amministrare il battesimo, sarà messo a morte.
Un altro biografo di Carlo, suo nipote Nitardo, affermò che l'imperatore aveva governato "con misurato terrore". Sulla penna di chi vuole scrivere un elogio di un sovrano autoritario ma giusto, l'espressione è certamente ambigua; tutto sommato è anche abbastanza lontana dal vero: il terrore provocato da Carlo, infatti, non fu "misurato".
"Un giudizio morale sull'operato di Carlo, - scrive Franco Cardini - sarebbe tanto ozioso quanto storicamente parlando indebito: né il nostro secolo, che ha visto ben altre giornate di Verden, sarebbe comunque adatto a pronunciarlo. Il punto non sta certo qui: sta però nel comprendere che tipo di cristianesimo fosse - al di là della sua stessa qualità dottrinale - quello nel nome del quale si offriva ai pagani l'alternativa tra il battesimo e la morte; e che tipo di cristianesimo fosse, ancora, quello che i pagani accettavano, accettandolo a quei patti. Non era più certo se non superficialmente il cristianesimo di Gesù, di Paolo o di Agostino: non almeno nel suo originario dettato, anche se ne rappresentava certo uno sviluppo. Ma non era neppure il cristianesimo di un Beda, né di un Alcuino di York che pacatamente filosofava nella confortevole quiete di Aquisgrana. Senza dubbio quest'ultima era una fede assai più alta e più pura che non il ferreo e corrusco credo imposto dalla spada di Carlo ai nemici battuti. Ma insomma quei nemici battuti - che da lì a poco più di un secolo sarebbero diventati la colonna dell'Occidente cristiano - accettarono la nuova fede dalla dura mano del conquistatore, non dalle dolci palme d'un mistico e d'uno studioso; né l'avrebbero accettata altrimenti. Fu così che, piaccia o no, fu costruita la Cristianità medievale: tra le zolle insanguinate di Verden [...] non meno che tra le studiose e silenti pareti di Luxeuil, di Fulda e di Reichenau [sedi d'importanti monasteri dell'epoca]".
Proseguendo su questa linea di monarca cristiano, Carlo promulgò leggi in materia ecclesiastica - ad esempio per far rispettare il riposo domenicale - convocò sinodi e concili e li presiedette. Il monaco Alcuino lo chiamava "cattolico per la fede, re per il potere, pontefice per la predicazione" e nel 794, a chiusura del concilio di Francoforte, i vescovi così si espressero nel tradizionale "rendimento di grazie": "Che egli sia signore e padre. Che egli sia re e sacerdote. Che egli sia il grande imperatore e pilota di tutti i cristiani".
Malgrado questa forte accentuazione degli elementi religiosi del suo governo, Carlomagno non confuse mai il potere temporale con quello spirituale: egli stesso e i suoi consiglieri ritenevano che fosse loro dovere difendere la religione, non sostituirsi ai vescovi o al papa. Carlo "combatteva i nemici visibili con armi materiali", mentre i vescovi dovevano "combattere i nemici invisibili con armi spirituali". Finché questa divisione dei compiti fosse stata mantenuta, i sovrani e i papi non avrebbero avuto nulla da temere l'uno dall'altro, anzi ne avrebbero tratto grandi vantaggi. Si trattava dunque di un gioco molto delicato, in cui il rispetto della forma era spesso più importante dei contenuti e la religione s'intrecciava inevitabilmente alla politica. Ce lo fa capire chiaramente un avvenimento sensazionale, accaduto il giorno di Natale dell'anno 800.
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