14.6 Le condizioni della vita materiale
Come tutte le malattie di ogni tempo e di ogni epoca, la peste del Medioevo aveva un carattere "classista": i suoi preferiti erano i poveri. Certamente anche ai ricchi e ai potenti capitava di morire per quell'orribile malattia - lo sperimentarono, tra gli altri, la figlia di Edoardo III d'Inghilterra e la figlia di Luigi X di Francia nel 1348, la sorella di Filippo il Buono nel 1432, il re Edoardo di Portogallo nel 1438 - ma la mortalità tra le classi dominanti era notevolmente più bassa rispetto al resto della popolazione. Questo fenomeno, già chiaro agli stessi contemporanei, trova un preciso riscontro nella documentazione. I dati ricavati dai registri delle imposte di alcune città europee, ci trasmettono infatti, non solo il numero degli individui morti in un determinato anno, ma anche il loro reddito; sappiamo per esempio che a Uelsen, un paese della Ruhr, il numero dei cittadini benestanti morti di peste nel 1597 fu in percentuale la metà rispetto ai cittadini poveri (24% contro il 47%).
I motivi di questa mortalità selettiva erano molteplici. Anzitutto l'alimentazione. Oggi si calcola che il fabbisogno calorico giornaliero sia di 2500-3500 calorie, contro le 2300-2400 calorie degli uomini medievali, meno alti e robusti e quindi meno "esigenti" di noi. Ma quelle 2300-2400 calorie rappresentavano un lusso di pochi privilegiati. Nell'alimentazione dell'epoca il pane e i farinacei in genere occupavano un posto fondamentale (circa 700 grammi al giorno), seguiti dal vino (circa 3/4 di litro al giorno) che forniva un'altra quota di calorie a buon mercato e da un "companatico" a base prevalentemente vegetariana. Carne, pesce, uova, formaggi, venivano consumati saltuariamente e raramente. Un'alimentazione così insufficiente e squilibrata (altissima percentuale di carboidrati, bassissima di proteine e vitamine), generava vari danni organici - rachitismo, cecità, cretinismo, gastriti, ecc. - e, soprattutto, indeboliva le resistenze dell'organismo di fronte alle numerosissime infezioni che affliggevano l'umanità.
Terribile e inesorabile, la peste è stata la regina delle malattie medievali. Ma nell'universo biologico di quei lunghi secoli, altri nemici si annidavano: il vaiolo, il tifo, il colera, la lebbra, il "fuoco sacro", la tubercolosi, la scrofolosi, la malaria. Anche queste malattie falcidiavano le popolazioni, anch'esse segnavano i corpi e accrescevano l'oppressiva presenza della morte nella società del tempo, anch'esse, infine, colpivano soprattutto i poveri. Il ristrettissimo strato della popolazione in grado di procurarsi cibo ricco e vario - non solo pane e verdure, ma anche carne, formaggio e pesce - aveva maggiori probabilità di resistere alle infezioni e quindi maggiori speranze di vita.
La durata media della vita nel tardo Medioevo era di circa 35 anni. Sulla base dei catasti della città di Pistoia del 1427, lo storico americano D. Herlihy ha potuto compilare alcune statistiche riguardanti la mortalità e la speranza di vita della popolazione delle città e delle campagne.
Queste cifre, solo apparentemente aride, esprimono una realtà impressionante. La mortalità infantile - che più di ogni altro dato riflette le condizioni igienico-sanitarie di una popolazione - raggiungeva punte altissime. Ogni famiglia normale aveva il suo carico di bambini morti prima dell'adolescenza: secondo calcoli compiuti dagli specialisti, nell'Europa pre-industriale, su 1000 nati, da 150 a 350 morivano nel primo anno, da 100 a 200 prima del decimo anno. Tra gli adulti, le donne in grado di procreare erano le più colpite: l'alta mortalità infantile e l'inesistenza di efficaci sistemi di controllo delle nascite, facevano infatti di esse delle vere e proprie macchine per partorire (otto-dieci figli in pochi anni non erano affatto una media eccezionale), esposte al rischio delle infezioni e ai danni del logoramento fisico.
L'alimentazione inadeguata aveva gravi conseguenze sulla diffusione delle malattie e sulla mortalità. Ma anche l'ambiente svolgeva una funzione nefasta.
Le città medievali, rapidamente ingranditesi in seguito alla forte urbanizzazione dei secoli precedenti (
10.5), erano malsane e inospitali. Strade strette e umide, vere e proprie fogne a cielo aperto, nelle quali si accumulavano i rifiuti e razzolavano i maiali, case prive di servizi igienici, di acqua, di aria, dove la gente viveva accalcata e l'unico arredamento era un ruvido pagliericcio, cucine sporche e maleodoranti: condizioni di vita come queste, che rappresentavano un regresso rispetto alla stessa antichità romana, furono tipiche di tutte le città dell'Europa pre-industriale. Il loro stretto rapporto con le malattie e la mortalità è evidente: dalle strade alle case, ai vestiti, tutto concorreva a determinare un habitat ideale per parassiti e bacilli.
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