13.8 Il Grande scisma e il fallimento del conciliarismo
Nella speranza dei più il ritorno del pontefice a Roma avrebbe dovuto inaugurare, per la Chiesa, un lungo periodo di stabilità e di concordia. Ma non fu così. Alla morte di Gregorio XI, nel 1378, i cardinali elessero papa il napoletano Urbano VI, ma la scelta fu effettuata in mezzo al clamore del popolo di Roma che tumultuava intorno alla sede del conclave e reclamava l'elezione di un pontefice italiano. Subito dopo i cardinali francesi denunciarono il clima di intimidazione entro il quale si era svolta l'elezione, e la invalidarono. Dal nuovo conclave, tenutosi a Fondi, uscì eletto il francese Clemente VII, che pose la sua sede ad Avignone.
La Chiesa si ritrovò con due papi, tra i quali i vari Stati europei fecero la loro scelta: la Germania, l'Inghilterra, le Fiandre, la Polonia, l'Ungheria, gli Stati italiani (con l'eccezione del Regno di Napoli, dove dominavano gli Angiò) si schierarono dalla parte di Urbano VI; la Francia, il Regno di Napoli, la Scozia, i regni iberici riconobbero come pontefice Clemente VII. Iniziò così il cosiddetto
Grande scisma, una divisione che lacerò la Cristianità occidentale per circa quarant'anni, dal 1378 al 1418.
Di fronte allo sbando in cui versava il mondo cattolico, cominciò a porsi con urgenza la necessità di una soluzione, e tra i teologi e gli ambienti di corte si fece strada la proposta di convocare un concilio che ponesse fine alla contesa. Era una proposta apparentemente ovvia, ma che in realtà incontrava forti ostacoli proprio nei protagonisti dello scisma: i due pontefici, i quali non intendevano accettare l'idea che il concilio avesse maggiore autorità del papa.
Nel 1409 i cardinali delle due parti presero l'iniziativa e si riunirono in concilio a Pisa. In questa occasione essi dichiararono decaduti sia il papa di Roma che quello di Avignone ed elessero al loro posto un nuovo papa, con il risultato che ora si ebbero ben tre papi.
La soluzione definitiva si raggiunse solo alcuni anni dopo, con il
Concilio di Costanza (1414-18), che riuscì a far abdicare i tre papi (il romano, l'avignonese e il pisano) ed elesse al loro posto Martino V della famiglia Colonna (1417-31). Roma tornò ad essere l'unica "capitale della fede" e i pellegrini ripresero ad affluirvi in gran numero. L'economia della città riprese a respirare.
La conclusione del Grande scisma segnò il successo del
conciliarismo, cioè di quella dottrina che affermava la superiorità del concilio sul papato. Nato dall'esigenza di trovare un freno agli eccessi del potere papale, che periodicamente diventava fonte di disordine e di squilibrio, il conciliarismo aveva trovato un terreno particolarmente fertile quando la necessità di ridimensionare l'autorità di più papi contrapposti era apparsa addirittura vitale per il destino della Chiesa. Sotto il profilo del pensiero politico esso fu l'applicazione, alla Chiesa, della dottrina del potere dal basso che Marsilio aveva applicato allo Stato (
13.5): il pontefice, che secondo la dottrina tradizionale non apparteneva alla Chiesa, ma dirigeva la Chiesa in virtù dei poteri che gli derivavano da Dio, veniva dalla dottrina conciliarista incorporato nella Chiesa, diventando una specie di ministro cui si delegavano compiti particolari. Il conciliarismo, che fu diffuso in Francia da uomini di pensiero quali Jean Gerson e Pierre d'Ailly, e in Germania da Dietriche di Niem ed Enrico di Langestein, affrontò anche il problema chiave dei dogmi: poiché i dogmi riguardavano tutti i cristiani non era giusto che fosse un uomo solo a definirli: "Ciò che interessa tutti - si diceva - deve essere approvato da tutti". Infallibile non era il papa, ma il concilio ecumenico guidato dalla grazia divina.
Il conciliarismo ebbe i suoi teorici, dotti e teologicamente agguerriti, ebbe sostegni politici, ebbe anche il suo momento favorevole, ma fallì rapidamente per la sua incapacità di modificare l'organizzazione ecclesiastica. Era infatti sterile proporre la modifica di un potere ormai millenario come quello pontificale senza procedere a un'immediata modifica delle strutture di base dell'organizzazione ecclesiastica. Il nodo fondamentale trascurato dai conciliaristi fu l'inserimento dei laici negli organismi decisionali della Chiesa: il popolo cristiano restò confinato nella situazione passiva di sempre, come spettatore e non come attore. Fu quindi facile ai papi che vennero dopo il Concilio di Costanza ristabilire la loro autorità suprema e recuperare quella pienezza di poteri che si era solidamente costruita durante tutta l'età medievale.
Agli inizi del XV secolo la Chiesa offriva dunque di sé l'immagine di sempre e nessuna riforma di ampio respiro aveva rilanciato la sua presenza nella società. In questa situazione era inevitabile che riprendessero vigore quei movimenti ereticali che già da tempo si agitavano nel mondo cattolico e che non erano stati mai del tutto soffocati. Di una violenza senza precedenti fu l'attacco rivolto alla Chiesa da
John Wycliffe (1330 circa-1384), teologo dell'Università di Oxford. Wycliffe predicava che tutti i cristiani dovevano vivere in povertà secondo le regole evangeliche, che la vera Chiesa era invisibile e che essa era composta da tutti i fedeli predestinati alla salvezza. La Chiesa visibile, corrotta e incapace, doveva essere privata dei suoi beni materiali. Idee come questa venivano diffuse in tutta l'Inghilterra da un gruppo di predicatori appositamente istituito da Wycliffe, che vennero chiamati i
lollardi (da lollen, "pregare"). Questi predicatori itineranti facevano uso, soprattutto tra i contadini, di uno strumento prezioso, la Bibbia tradotta in inglese dallo stesso Wycliffe, che i fedeli erano chiamati a interpretare direttamente, senza la mediazione sacerdotale. Guardati in un primo momento con simpatia dal potere politico che vedeva nella loro predicazione un gradito incoraggiamento a impadronirsi delle ricchezze ecclesiastiche, i lollardi furono in seguito duramente perseguitati a causa del carattere profondamente sovversivo delle loro idee. Molti subirono il martirio, ma il movimento non si estinse del tutto.
Un movimento analogo a quello dei lollardi, ma dalle conseguenze ben più gravi si diffuse in Boemia, alla frontiera orientale della cristianità cattolica. Lo animarono le forti personalità di
Jan Hus (1369-1415), un sacerdote che era rimasto molto suggestionato dalle idee di Wycliffe, e del suo discepolo Girolamo da Praga. In Boemia la critica alle autorità ecclesiastiche non aveva soltanto un significato morale (condanna della corruzione) e sociale (condanna della ricchezza), ma si animava anche di contenuti "nazionali". Da quando il re di Boemia Carlo IV aveva assunto anche la corona imperiale si era infatti posto per il paese il problema del massiccio afflusso di tedeschi che occuparono posizioni politiche ed economiche di primo piano. Lottare contro la Chiesa cattolica significava pertanto lottare anche contro l'invadenza germanica.
Con grande ingenuità Hus si recò al Concilio di Costanza cercando di convincere i cardinali della giustezza delle proprie idee, ma fu immediatamente arrestato e bruciato vivo. La morte del predicatore suscitò grande emozione in tutta la Boemia e provocò la formazione di una lega di 500 nobili sostenuta da ampi settori della borghesia cittadina e del mondo contadino. Ne nacque una vera e propria guerra, con massacri ripetuti di cattolici e di hussiti. La frangia estrema del movimento, rappresentata dai taboriti (dal nome della città boema di Tabor) tenne testa agli eserciti imperiali fino al 1433. L'anno dopo furono infatti sconfitti dall'imperatore Sigismondo di Lussemburgo (1433-37).
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