4. L'emergere del papato
4.1 Il primato del vescovo di Roma
Già prima della caduta dell'Impero d'Occidente, nel cattolicesimo occidentale emergeva il primato del vescovo di Roma. Da molto tempo le gerarchie ecclesiastiche della città reclamavano sulle altre comunità una supremazia derivante dal fatto di essere le depositarie della tradizione apostolica più pura. La Chiesa romana - si diceva - aveva mantenuto sempre, al suo interno, un patrimonio dottrinario e spirituale, e una legittimazione giuridica, risalenti addirittura al "principe" degli apostoli,
San Pietro, del quale il papa di Roma doveva essere considerato l'unico autentico successore.
Come avallo giuridico a questa successione si utilizzava la famosa Lettera di Clemente, che si diceva essere stata scritta da papa Clemente I a San Giacomo, fratello di Cristo. In questa epistola spuria si raccontava che, prima di morire, San Pietro aveva convocato la comunità cristiana di Roma ed espresso così le sue ultime volontà:
Io [Pietro] impartisco a lui [Clemente] l'autorità di legare e di sciogliere, di modo che qualunque cosa egli deciderà sulla Terra, sarà approvata in cielo, perché egli legherà ciò che deve essere legato e scioglierà ciò che deve essere sciolto.
Questo documento rappresentava un fondamentale punto di appoggio per il primato papale, perché affermava che, come Cristo aveva dato a San Pietro le chiavi del regno celeste (un concetto esemplificato nella metafora del legare e dello sciogliere), così San Pietro aveva trasmesso al vescovo Clemente, suo successore nella sede romana, e a lui soltanto, quegli stessi poteri. La lettera di Clemente era quindi l'anello di congiunzione giuridico tra la Chiesa di Roma e il suo fondatore.
Questi enunciati trovarono negli scritti di papa
Leone Magno (441-62) un'efficace formulazione teorica, che intrecciava, in un insieme semplice e coerente, argomenti di carattere biblico, teologico, giuridico: la Chiesa, corpo mistico di Cristo, doveva fondarsi sulla concordia e sulla volontà unanime dei vescovi; essa era però, al tempo stesso, una società gerarchizzata: uguali nei loro poteri, i vescovi erano infatti diversi per il grado (ordo) che occupavano nella gerarchia. Il primo in questa gerarchia era il vescovo di Roma, che aveva ereditato giuridicamente il posto di San Pietro; al vescovo di Roma competeva dunque una responsabilità generale su tutta la Chiesa, mentre ai singoli vescovi competevano responsabilità particolari sulle singole Chiese locali. In questa dottrina la Chiesa appariva, in sostanza, come una struttura di tipo monarchico, in cui l'autorità discendeva dall'alto.
A papa Leone si deve anche una fondamentale distinzione tra lo status personale del pontefice e lo status giuridico che egli ricopriva: il papa aveva ereditato i poteri di San Pietro, ma non i suoi meriti; egli era quindi un "indegno successore di Pietro". Questa formula, apparentemente banale, nascondeva invece in sé una enorme potenzialità: essa stabiliva infatti il principio che la validità degli atti compiuti dal pontefice non dipendeva dalle sue qualità morali o dal suo grado di "santità": un atto, un decreto, una sentenza, erano validi indipendentemente dalla personalità del pontefice. Grazie a questa scissione tra l'ufficio (considerato oggettivo) e il detentore (soggettivo), il papato in quanto istituzione riuscì a superare anche i momenti più bui della sua storia, quando al seggio pontificio salirono individui palesemente corrotti.
Manifestazioni concrete di questa pretesa del papato alla supremazia erano le decretali, costituzioni pontificie di carattere generale redatte in forma di lettera, le quali, in virtù della suprema potestà del papa, si pretendeva avessero forza obbligatoria per tutti i fedeli. Il diritto emanato dal papa attraverso le decretali traeva la sua origine dalla divinità, e in quanto tale doveva avere carattere assolutamente vincolante.
Tutte le cosiddette cause maggiori dovevano inoltre essere deferite alla Sede apostolica, ed era quest'ultima a stabilire quali esse fossero. Contro la sentenza papale non c'era possibilità di appello presso nessun'altra autorità civile o religiosa. Quest'ultima pretesa veniva fondata su un passo biblico nel quale si raccontava che Mosè aveva assegnato dei giudici al popolo, ma aveva riservato per sé le cause più importanti. Emerge qui un altro aspetto fondamentale del modo in cui si vennero costruendo i fondamenti teorici del potere pontificio: il richiamo costante ai testi sacri per giustificare la validità di questa o quella prerogativa, oltre che la natura stessa del potere papale.
Le aspirazioni del papa alla supremazia incontrarono serie difficoltà. Per un verso i vescovi locali - con, in prima fila, i grandi e prestigiosi patriarchi di Alessandria e di Costantinopoli - erano molto riluttanti ad accettare il primato di Roma e proclamavano l'uguaglianza di tutti i vescovi. Per altro verso gli imperatori romani intervenivano continuamente in materia di fede, convocavano i concili e ne facevano rispettare le decisioni. La conquista dell'Occidente da parte degli invasori germanici attenuò tuttavia questa duplice pressione sul papato. La Chiesa romana si trovò infatti molto decentrata rispetto all'ingombrante tutela dell'imperatore di Costantinopoli e priva di sostanziali rapporti con quegli autorevoli concorrenti che erano i vescovi orientali. La situazione fu dunque propizia a un ulteriore svolgimento della teoria del primato papale.
Nel 494, quando l'Italia era sotto il governo di Teodorico (
2.4), papa
Gelasio I (492-98) scrisse all'imperatore d'Oriente una lettera in cui si enunciava un principio fondamentale:
Due potenze si spartiscono l'impero eminente del mondo: la sacra autorità dei pontefici e la potenza regale. La responsabilità dei sacerdoti è tanto più grave in quanto essi dovranno rendere conto al giudizio di Dio anche per gli stessi re.
Gelasio affermava in sostanza che tanto il papa che l'imperatore governavano il "mondo", ma con funzioni diverse. Il papa, con la sua autorità derivata da San Pietro, aveva competenze su tutto quanto riguardava la comunità cristiana. Compito dell'imperatore era invece quello di far rispettare tramite le sue leggi e il suo potere coercitivo, quanto era stato stabilito dalla "sacra autorità dei pontefici". Queste rivendicazioni, che sono state considerate giustamente come una sorta di "carta di fondazione" del papato medievale, si accompagnavano, naturalmente, alla proclamazione, sempre più rigorosa, della tesi "petrologica" (perché fondata sulla discendenza da Pietro) e monarchica del papato:
Nessuno può, in alcuna occasione e per alcun pretesto umano, pensare di porsi al di sopra dell'ufficio di colui che per ordine di Cristo è stato posto al di sopra di tutti e che la Chiesa universale ha sempre riconosciuto come la sua guida.
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