12.8 Il crollo di Federico II
Mentre nell'Italia meridionale (Regno di Sicilia) si costruivano le strutture di una compagine accentrata, nell'Italia settentrionale (Regno d'Italia) si accentuavano quelle tendenze all'autonomia comunale che da tempo insidiavano l'autorità del potere imperiale: le alimentava anche il papato, sempre assillato dal timore di un'eventuale unione di tutta l'Italia sotto la corona sveva, che avrebbe inevitabilmente soffocato la Chiesa e compromesso la sua libertà d'azione (Federico, come si ricorderà, oltre alla corona imperiale deteneva quella di Germania e di Sicilia). Lo scontro fu scatenato nel 1234 da Enrico VII, il figlio cui Federico aveva affidato il Regno di Germania. Enrico, che poteva contare sull'appoggio dei comuni della Lega Lombarda, affermava che la politica del padre, tutta incentrata sulla Sicilia, nuoceva alla stabilità del potere imperiale in Germania, lasciandolo in balìa dei baroni. Federico domò senza grandi difficoltà la rivolta del figlio (1235) e lo prese prigioniero (Enrico sarebbe morto suicida qualche anno dopo); mosse poi contro le forze della Lega e, con l'appoggio dello spregiudicato e crudele Ezzelino da Romano, signore della Marca Trevigiana, le sconfisse duramente il 27 novembre 1237 nella battaglia di Cortenuova, sul fiume Oglio: un grande successo, che fu confermato nel 1241 dalla vittoria navale che le flotte congiunte di Pisa e di Sicilia, guidate da un altro figlio dell'imperatore, Enzo, riportarono all'isola del Giglio sulle navi di Genova, alleate del papa, che trasportavano a Roma i vescovi francesi convocati da papa Gregorio per un Concilio che avrebbe dovuto deporre l'imperatore: molti prelati annegarono, molti altri furono catturati.
Papa Gregorio morì lo stesso anno. Il suo successore, Innocenzo IV (1243-54) ne raccolse in pieno l'eredità politica: senza perdere tempo convocò un Concilio a Lione (1245), scomunicò l'imperatore e gli scatenò contro una "crociata". La situazione per Federico cominciò a farsi difficile: ovunque si manifestavano tumulti e ribellioni, mentre i sospetti di congiure coinvolgevano anche la stessa corte imperiale (il cancelliere e amico di Federico, Pier delle Vigne, accusato di tradimento, fu accecato, e si suicidò in carcere: Dante ne avrebbe raccontato la tragedia). Nel 1249 i soldati di Bologna inflissero una pesante sconfitta alle truppe imperiali e catturarono addirittura lo stesso principe Enzo. L'anno dopo Federico II preparò il contrattacco: la potenza della sua macchina bellica e la cura con cui aveva organizzato la campagna militare lo rendevano certo del successo. Ma la morte lo colse inaspettata a 56 anni. "Che i cieli esultino e che la terra sia felice", scrisse il pontefice.
Con la morte dell'imperatore si dissolvevano anche le aspirazioni egemoniche dell'Impero. Sopravvisse però il mito imperiale, vagheggiato da Dante come unica soluzione ai mali dell'Italia: ma niente più di un mito (p. 306).
Nel giudizio dei contemporanei, come nella riflessione degli storici, Federico II è una figura molto discussa. Fu chiamato "sultano battezzato" ma anche "re dei preti", fu definito crudele e generoso, leale e traditore, fu nemico della Chiesa e persecutore degli eretici, uomo d'azione e diplomatico; seguace della magia e della scienza, poeta e filosofo. È evidente nella sua personalità una certa contraddizione tra il gusto, anche aperto e spregiudicato, per quanto di moderno esprimessero la cultura e la scienza dell'epoca, e l'attaccamento senza incrinature alla più rigida tradizione del potere imperiale, che bloccava la sua azione politica in schemi che non gli consentirono di recepire a fondo quanto di nuovo andava maturando nella società contemporanea.
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