12. La lotta tra la Chiesa e l'Impero
12.1 Italia e Impero da Enrico IV a Federico Barbarossa
Lo sviluppo delle autonomie comunali in Italia centro-settentrionale, tra XI e XII secolo, aveva potuto contare su una serie di condizioni politiche generali favorevoli. Già l'onda lunga della riforma religiosa aveva avuto notevoli effetti sull'assetto del potere nelle città: numerose furono le rivolte contro i vescovi-conti simoniaci, come a Firenze dove il vescovo Pietro Mezzabarba venne espulso. La lotta per le investiture, poi, aveva integralmente assorbito le energie e le attenzioni del papato e dell'imperatore e, con i suoi ripetuti colpi di scena, aveva costretto i contendenti a disputarsi e a comprare l'appoggio sia dei grandi signori feudali (soprattutto in Germania) sia delle città (soprattutto in Italia): Pisa, per esempio, si vide riconosciuto formalmente il proprio statuto di città autonoma grazie agli aiuti navali forniti a Enrico IV. Il successore di quest'ultimo, Enrico V, ponendo fine alla lotta per le investiture con il concordato di Worms, aveva, infine, sancito il principio per cui l'investitura spirituale dei vescovi, sempre di spettanza del pontefice, in Italia avrebbe avuto la precedenza sulla eventuale investitura feudale ad opera dell'imperatore: con ciò aveva, quindi, fortemente limitato la propria libertà di manovra nel regno d'Italia di ottoniana memoria.
Dopo la scomparsa di Enrico V, nel 1125, la situazione volse ancor più favorevolmente alle città italiane del Nord e del Centro e alla crescente potenza normanna nel Mezzogiorno (
8.6). In Germania si scatenò un durissimo conflitto dinastico per il trono tedesco, tra i guelfi, partigiani della casa di Baviera, e i ghibellini, partigiani della casa di Svevia (
8.8), che fece eclissare completamente l'autorità imperiale nella penisola, dove la scena politica fu dominata dai conflitti tra comuni e dai contrasti tra il papato e la monarchia normanna. Nella stessa Roma, inoltre, a seguito di una rivolta nel 1143, una coalizione di nobili, artigiani, mercanti aveva installato istituzioni comunali capeggiate, in omaggio alla passata grandezza della città, dal consiglio del "sacro senato". Su questo movimento si innestò la predicazione del canonico Arnaldo da Brescia che, in sintonia con i grandi motivi della riforma religiosa, affermò che la Chiesa avrebbe dovuto abbandonare ogni tentazione temporale e dedicarsi esclusivamente alla propria missione spirituale. Dal 1147 Arnaldo guiderà il comune di Roma, imprimendogli un orientamento "popolare", a tutela dei ceti più umili.
Questo quadro generale fu profondamente modificato da
Federico I di Hohenstaufen (1152-90), il quale mise fine alle lotte tra guelfi e ghibellini, facendo amplissime concessioni al ducato di Baviera per avere via libera al trono di Germania e alla corona imperiale. Federico I - che in Italia sarà detto Barbarossa per la sua fluente barba fulva - discese nella penisola nel 1154, con un programma molto preciso: farsi incoronare re d'Italia e riacquisire il controllo delle città del Nord e del Centro recuperando le cosiddette regalie, ovvero i diritti sovrani di imporre tasse, battere moneta, stipulare trattati ecc., che erano stati acquisiti o usurpati dai comuni, da Enrico IV in poi; farsi consacrare imperatore, riaffermando tuttavia la supremazia dell'autorità imperiale su quella papale; abbattere la monarchia normanna, la cui potenza era cresciuta senza che vi fosse alcun atto di sottomissione - anche formale - alla corona imperiale. Il suo intervento era peraltro politicamente legittimato dalle invocazioni di aiuto che provenivano dall'Italia stessa: in particolare, il pontefice Adriano IV (1154-59) chiedeva soccorso contro il comune di Roma e il re normanno Guglielmo il Malo (1154-66), e i piccoli comuni lombardi contro Milano.
Fattosi incoronare re d'Italia a Pavia, Barbarossa convocò a Roncaglia, presso Piacenza, i rappresentanti dei comuni italiani e, durante una assemblea (o dieta, dal latino dies, "giorno": "assemblea del giorno"), dichiarò nulle le appropriazioni delle regalie. Di fronte all'opposizione dei partecipanti, nulla poté però fare, non disponendo di un adeguato apparato militare. Si limitò, dunque, a una breve azione dimostrativa in Piemonte e Lombardia e a discendere a Roma, dove catturò Arnaldo da Brescia, che fu impiccato e poi bruciato. Incoronato imperatore, dovette abbandonare subito dopo la città, insieme a Adriano IV, a causa di una sommossa, e rientrare in Germania, rinunciando anche a ogni iniziativa contro il regno normanno - sebbene quest'ultimo in quel momento fosse in crisi a causa di una estesa ribellione feudale.
Il risultato della prima spedizione italiana di Barbarossa non andò, dunque, al di là dell'espletamento di alcuni importanti atti formali (incoronazione a re d'Italia e imperatore), ma ebbe gravissime conseguenze sul piano politico. Prima fra tutte il riavvicinamento tra il pontefice e Guglielmo il Malo: Adriano IV, percepita la necessità di disporre dell'aiuto stabile di un potente alleato e comprese le mire egemoniche di Federico I, stipulò l'accordo di Benevento (1156), in base al quale la Chiesa investiva direttamente il re normanno della corona del suo regno, affermando così implicitamente la propria superiore autorità e indipendenza dall'Impero.
La seconda spedizione di Barbarossa, nel 1158, fu, quindi, fortemente motivata da questo "voltafaccia" papale e si caratterizzò per l'asprezza dell'imperatore nei confronti dei comuni centro-settentrionali. In una seconda dieta, sempre a Roncaglia, egli riaffermò la propria esclusiva competenza sulle regalie esercitate dai comuni e dispose che in ogni città si insediasse un governatore di sua nomina, proibendo ogni altra forma di organizzazione politica.
Di fronte a queste durissime prese di posizione la Chiesa rispose schierandosi con i comuni ribelli. Il successore di Adriano IV, Alessandro III (1159-81), era notoriamente un fermo oppositore del Barbarossa, il quale rispose creando un antipapa. Molti comuni, per parte loro, non accettarono il rappresentante imperiale e le decisioni di Roncaglia. La reazione dell'imperatore fu durissima: dopo un lungo assedio Crema, nel 1159, fu distrutta; Milano, nel 1162, vide abbattute le sue fortificazioni.
Dopo questi episodi alcuni comuni veneti e alcuni comuni lombardi si riunirono in due leghe difensive che si fusero, poi, nel 1167 nella
Lega lombarda, cui aderì anche il pontefice. Lo scontro decisivo con Barbarossa avverrà nel 1176 a Legnano, dove le truppe imperiali vennero duramente sconfitte dai confederati. Dopo lunghe trattative, nel 1183, fu conclusa la
pace di Costanza, in base alla quale i comuni dell'Italia centrosettentrionale ottennero il riconoscimento della loro autonomia, in cambio di un formale atto di sottomissione all'imperatore. Già prima Barbarossa aveva riallacciato buoni rapporti col papato, rinunciando a sostenere antipapi e a qualsiasi interferenza negli affari dello Stato della Chiesa.
Nel 1190 Federico I morì annegato mentre tentava di attraversare un fiume in Asia Minore; era alla testa della terza crociata. Poco tempo prima, nel 1186, egli era riuscito, per via diplomatica e non con la forza delle armi, a ottenere l'unico risultato duraturo del suo programma italiano. Riuscì, infatti, a concludere il matrimonio tra Costanza d'Altavilla, unica erede del re normanno Guglielmo II (1166-89), e suo figlio Enrico. Quest'ultimo, dunque, oltre che successore del padre, divenne legittimo pretendente alla corona del regno normanno di Italia meridionale e Sicilia.
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