10.2 Le tecniche agrarie
Agli inizi del XIII secolo la società medievale aveva un carattere prevalentemente agricolo. La grandissima maggioranza della popolazione (dal 70 al 90%) viveva nelle campagne e lavorava direttamente o indirettamente nell'agricoltura; la ricchezza aveva una base agraria e la terra era la forma più sicura, spesso l'unica, d'investimento. Il potere politico e sociale, il rango e il prestigio delle famiglie e degli individui si misurava sulla quantità di terra posseduta. Lo sfruttamento delle miniere e l'uso dei metalli era ancora abbastanza ristretto e la maggior parte delle materie prime proveniva dall'agricoltura e dalle foreste (che fornivano praticamente tutto, dal combustibile al materiale per fabbricare case, navi, attrezzi, ecc.). La più importante manifattura dell'epoca, quella della lana, dipendeva dall'allevamento degli ovini. Nello studio del patrimonio tecnologico di questa società è quindi indispensabile partire dal settore agricolo.
La ripresa demografica fu sostenuta e accompagnata da alcuni importanti perfezionamenti delle tecniche agrarie e dei sistemi di coltivazione, che provocarono una sensibile crescita della produzione dei mezzi di sussistenza. Esiste uno strettissimo rapporto tra la quantità e la qualità delle
arature e la produttività del suolo. I progressi più significativi dell'epoca furono compiuti appunto in questo settore. Mentre nell'alto Medioevo si effettuavano normalmente due o tre arature al massimo, nel XII secolo abbiamo notizia di proprietà in cui il suolo veniva arato anche quattro volte, con effetti benefici sulla fertilità della terra.
Più importante fu, però, la diffusione dell'
aratro pesante. L'aratro comunemente in uso in età altomedievale era il cosiddetto aratro semplice, a vomere simmetrico di legno temperato, raramente rivestito di ferro, che si limitava a scalfire superficialmente la terra, non rovesciava le zolle e richiedeva un massiccio apporto di lavoro manuale per il completamento dell'opera. Tra l'XI e il XII secolo si diffuse, soprattutto nella Francia settentrionale e nelle pianure tedesche e slave, l'aratro pesante a vomere dissimmetrico e versoio, dotato di avantreno mobile e di ruote. Molto più potente dell'aratro semplice, l'aratro pesante penetrava in profondità e per mezzo del versoio ribaltava la zolla. La sua diffusione rappresentò un indubbio progresso, ma fu ostacolata da alcuni fattori: il costo dello strumento e degli animali da tiro, che molte famiglie contadine non erano in grado di sostenere, e la presenza, soprattutto nelle calde regioni meridionali, di suoli fragili e leggeri, inadatti a quel tipo di aratura.
Il possesso o meno dell'aratro pesante e, più in generale, degli animali da tiro, segnava la linea di demarcazione tra i contadini più poveri, che lavoravano la terra con le loro mani e si piegavano con la vanga su ogni zolla del loro campo, e gli "aratori", i contadini agiati, detentori di animali da tiro e di strumenti più evoluti. Una differenza di posizione sociale e di reddito.
I buoi che tiravano l'aratro erano animali preziosi e spesso il loro valore superava addirittura quello dei fondi. L'addetto alla loro cura, il bovarius, era il migliore e il più esperto dei domestici; inoltre, quando incombeva un pericolo, i contadini si affrettavano prima di tutto a mettere al sicuro i buoi. C'era anche chi faceva buoni affari affittando i buoi ai contadini che ne erano sprovvisti. Verso il 1200, in Francia e nelle Fiandre, il bue fu gradualmente affiancato, nel lavoro dei campi, dal cavallo. I vantaggi furono notevoli: la capacità di lavoro del cavallo è infatti del 50% superiore a quella del bue e il suo costo di mantenimento, per giornata lavorativa, del 30% inferiore. La diffusione del cavallo nei lavori agricoli fu però ostacolata dal suo alto costo, dalla sua minore resistenza alle malattie (la morte dell'animale poteva rovinare una famiglia priva di capitali) e, soprattutto, dal fatto che il cavallo non si nutre di erba come il bue, ma di avena, un mangime molto raro nelle regioni calde. Nella Francia meridionale, in Italia, in Spagna, il cavallo restò pertanto la cavalcatura del ricco o il destriero del nobile guerriero.
L'impiego dei buoi e dei cavalli come animali da tiro fu reso molto più efficace dalla diffusione di nuovi metodi d'attacco che potenziarono la forza degli animali: il giogo frontale per i buoi, il collare da spalla per i cavalli. La pratica di ferrare i cavalli, inoltre, aumentò la resistenza di quegli animali sui terreni duri ed anche la loro velocità.
Un altro importante progresso si registrò con il passaggio dalla rotazione biennale alla
rotazione triennale delle colture. Il contadino non poteva coltivare ogni anno la stessa quantità di terra perché la fertilità del suolo si sarebbe rapidamente esaurita: per questo da tempo immemorabile si usava seminare solo una metà del campo con cereali d'autunno lasciando l'altra metà a "maggese", cioè a riposo. L'anno successivo la destinazione delle due parti veniva invertita. La rotazione triennale prevedeva, invece, un uso più complesso delle terre coltivate. La superficie veniva divisa in tre parti. Nella prima si seminavano in autunno frumento e segale; nella seconda si seminavano in primavera avena, orzo, piselli, ceci, lenticchie, fave; la terza quota veniva lasciata a riposo. L'anno seguente il primo campo veniva seminato con colture primaverili, il secondo veniva lasciato a riposo, nel terzo venivano seminati cereali d'autunno, e così via. Il vantaggio del nuovo sistema - che tuttavia non s'impose subito dovunque per motivi climatici e per resistenze di ordine mentale - era evidente, perché aumentava di ben un terzo la produzione annuale.
L'alimento base delle popolazioni medievali era il pane, cui si aggiungevano minestre di legumi, birra, vino e, raramente, un po' di carne (soprattutto lardo di maiale). Per questo nell'agricoltura dell'epoca i campi coltivati avevano - come abbiamo visto - un primato incontestabile. L'importanza della panificazione nelle abitudini alimentari del tempo è confermata dalla diffusione delle più importanti e complesse macchine dell'epoca: i
mulini ad acqua. Già noto nel mondo antico, ma poco diffuso, il mulino ebbe, tra l'XI e il XIV secolo, una crescente applicazione in molte regioni europee (già nel 1086, anno in cui fu redatto il Domesday Book, in Inghilterra esisteva in media un mulino ogni 46 famiglie). Gli impieghi del mulino ad acqua erano numerosi, dalla frantumazione delle olive alla follatura delle stoffe, dalla concia delle pelli alla miscelatura della birra; il campo di maggiore applicazione era però la macinazione del grano. Il mulino ad acqua (come del resto il
mulino a vento, diffusosi a partire dal XII secolo), aveva il grande vantaggio di impiegare un'energia, quella idraulica, che non costava nulla: ovunque scorresse un corso d'acqua sufficientemente rapido poteva essere impiantato un mulino. I suoi costi di costruzione erano, però, talmente alti da essere alla portata dei soli grandi proprietari.
Questi ultimi traevano dal mulino un duplice vantaggio: vi macinavano direttamente i cereali dei loro campi e lo affittavano ai contadini. Non di rado questo affitto veniva imposto con la forza: i signori costringevano i contadini a prendere in affitto l'uso del loro impianto anche se questo non corrispondeva a reali necessità.
Nel XII secolo si registrarono ovunque in Europa notevoli progressi nel campo della
metallurgia. Come accade spesso nella storia delle tecniche, la guerra sperimentò per prima quelle innovazioni che poi passarono a usi civili. Le tecniche con cui venivano forgiate spade affilate e resistenti o corazze leggere e robuste e l'esperienza dei maestri che lavoravano al seguito dei cavalieri, servirono da base a compiti più modesti ma dai quali dipendeva la sopravvivenza delle popolazioni europee: coltelli, falcetti, vanghe, vomeri di aratro, parti meccaniche dei mulini venivano ora prodotti in gran numero e in qualità eccellente da fabbri specializzati. La grande richiesta proveniente dalle campagne spinse molti fabbri di città a trasferirsi nei villaggi rurali, presso la loro clientela. Questo trasferimento aveva anche il vantaggio di avvicinare l'officina alle foreste, cioè alle riserve principali del combustibile - il legno - che alimentava le fornaci.
La domanda fondamentale riguardante l'agricoltura medievale è la seguente: qual era il livello delle
rese agricole, cioè il rapporto tra la semente e il raccolto? La solita scarsità delle fonti non consente di dare a questa domanda una risposta soddisfacente: avremmo bisogno di serie di dati continue e consistenti, relative a regioni diverse e corredate da informazioni parallele; invece disponiamo soltanto di indicazioni sparse e saltuarie. Rese di 1:15, attestate nel 1335 per una fattoria dell'Artois, sono da considerarsi assolutamente eccezionali e dipendevano da una congerie di circostanze propizie (terreni fertili, clima favorevole, manodopera adeguata, attrezzature d'avanguardia, concime abbondante). Le rese infatti dovevano attestarsi mediamente intorno a un rapporto di 1:3, 1:4. Paragonate a quelle odierne (oltre dieci volte superiori), queste cifre appaiono terribilmente basse; eppure esse rappresentavano un forte miglioramento rispetto ai rapporti di età altomedievale: il passaggio da una resa di 1:2 (comune per esempio in età carolingia) a una resa di 1:3 determinava infatti il raddoppio della quantità disponibile per il consumo (una unità di semente doveva essere accantonata per la semina successiva e quindi la quantità disponibile per il consumo passava da 1 a 2).
I mutamenti verificatisi nel settore della tecnologia agraria rappresentarono un indubbio progresso nella vita materiale e nel patrimonio culturale della società medievale. Ma sul senso da attribuire alla parola progresso occorre intendersi: l'aumento della produzione dei mezzi di sussistenza determinato dalle innovazioni tecnologiche non provocò un miglioramento degno di rilievo delle condizioni di vita dei contadini. Esattamente come secoli prima, la grandissima maggioranza dei contadini europei si alimentava male e in misura insufficiente, si ammalava facilmente, viveva poco. Le eccedenze agricole servirono piuttosto - come ha scritto lo storico francese Georges Duby - a "permettere a un numero maggiore di individui di sopravvivere in condizioni precarie come quelle dei loro avi".
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