17.8 Le guerre italiane e la politica dell'equilibrio
Nel '300 e nel '400 l'Italia restò dunque divisa tra cinque potenze principali: oltre a Milano, Firenze e Venezia, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli. Nessuna di esse riuscì a prevalere sulle altre e, quando un'egemonia sembrava profilarsi all'orizzonte, le potenze minacciate si accordavano per contrastarla.
Fu così che il successore di Giovanni Maria, Filippo Maria Visconti (1412-47), che cercava di ricostituire il vasto dominio edificato da Gian Galeazzo (
17.3) dovette affrontare le forze congiunte di Venezia e di Firenze in una lotta accanita e dall'andamento alterno. Filippo riuscì a prevalere su Firenze ma fu sconfitto a sua volta nel 1427 dall'esercito veneziano nella battaglia di Maclodio.
Alla morte di Filippo Maria alcune famiglie aristocratiche milanesi, desiderose di sbarazzarsi dell'ingombrante predominio visconteo tentarono di abbattere il regime signorile e di ripristinare gli ordinamenti comunali: fu così proclamata la Repubblica ambrosiana. Ma si trattava di un progetto utopistico, che non teneva conto né della irreversibile crisi del sistema comunale, né della difficile situazione esterna. Di fronte alla minaccia degli eserciti veneziani, sempre più aggressivi e insidiosi, i milanesi furono infatti costretti a chiedere l'aiuto e l'intervento del condottiero
Francesco Sforza, che aveva sposato una figlia di Filippo Maria. Francesco colse al volo l'occasione e nel 1450 si proclamò signore della Lombardia.
I successi militari di Venezia avevano intanto allarmato la sua vecchia alleata Firenze, che passò dalla parte di Milano. La guerra riprese con un susseguirsi di battaglie mai decisive, di scontri senza vincitori né vinti e finì stancamente per reciproco logoramento. Si arrivò così alla
pace di Lodi del 1454, cui fece seguito, un anno dopo, la costituzione della Lega italica, sottoscritta da Venezia, Firenze, Roma, Napoli e da tutte le decine di staterelli gravitanti intorno alle principali potenze. Gli aderenti s'impegnarono a mantenere l'equilibrio esistente e a combattere qualsiasi tentativo di alterarlo.
Si era preso atto, dunque, dell'incapacità degli Stati regionali di assurgere al ruolo di centri di unificazione a livello nazionale. Rapide espansioni e altrettanto rapidi crolli, guerre, trattative, avevano rivelato, lungo una vicenda secolare, un inequivocabile dato di fatto: l'Italia era una realtà frammentata. La
politica dell'equilibrio fu, quindi, la conseguenza della mancata nascita di un'Italia unita.
Frutto del logoramento e della debolezza degli Stati italiani, la politica dell'equilibrio nacque anche da una preoccupazione: nel 1453 era terminata la guerra dei Cent'anni e il grande potenziale bellico della monarchia francese era diventato una minaccia pendente sulla penisola. L'accordo tra gli Stati italiani doveva quindi servire a evitare che lo straniero trovasse pretesti per intervenire. Ma, come vedremo, la politica dell'equilibrio non scongiurò l'intervento francese.
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