15. La crisi del '300
15.1 I mali dell'epoca
La grande peste che dilagò nella prima metà del '300 non si abbatté su una situazione economica caratterizzata da un andamento positivo. Fu, invece, un ulteriore e grave fattore di squilibrio in un quadro generale dominato, fin dagli ultimi decenni del '200, da una tendenza regressiva. Già prima dell'arrivo della pestilenza, l'economia europea aveva perduto, infatti, quello slancio che l'aveva caratterizzata dopo il Mille. L'inversione di tendenza fu accelerata fortemente dall'epidemia. Gli storici la chiamano abitualmente "crisi del '300", anche se il fenomeno si protrasse per quasi tutta la prima metà del secolo successivo.
I contemporanei non mancarono d'interrogarsi sulla natura dei mali che li affliggevano, e sulle loro cause. Al primo posto essi ponevano le guerre, al secondo le pestilenze, al terzo gli accidenti del clima. Tutti e tre questi fenomeni ebbero indubbiamente il loro peso nella crisi del '300, anche se, dopo decenni di indagini e dibattiti, la visione che ne hanno gli storici moderni è inevitabilmente più complessa.
Cominciamo dal
clima. Contrariamente a quanto alcuni storici hanno ritenuto in passato, le tecniche di ricerca, piuttosto complesse, della climatologia storica portano a escludere che nel Trecento si sia verificato un eccessivo raffreddamento del clima. Sembra piuttosto che ci sia stato - cosa ben più grave - un cospicuo aumento della piovosità: piogge troppo abbondanti, soprattutto in coincidenza con le semine autunnali e primaverili e nei periodi che precedono immediatamente il raccolto, ebbero probabilmente conseguenze negative sulla produttività di alcune regioni. Allo stato attuale della documentazione e in riferimento a un arco di tempo tanto lungo (quasi un secolo e mezzo) come quello su cui si estende la crisi del '300, non è tuttavia possibile attribuire ai fattori climatici un effetto determinante sull'andamento dell'economia. Essi furono tutt'al più, in alcune circostanze, un ulteriore elemento negativo entro un quadro economico già deteriorato.
Meno sfuggenti per noi, e certamente ben più gravi per i contemporanei, furono le conseguenze delle
guerre che afflissero l'Europa nello stesso periodo. I contadini erano abituati da secoli a subire la violenza dei soldati: incendi, devastazioni, saccheggi, facevano parte dell'esperienza consueta dell'uomo medievale. Ma si trattava quasi sempre di episodi saltuari che, per quanto gravi, non impedivano, superato il momento critico, una rapida ripresa. Quello che accadde nel '300 fu invece abbastanza fuori del comune: come vedremo nel capitolo seguente, molte regioni europee, soprattutto in Fiandra e in Francia, furono teatro di operazioni militari praticamente ininterrotte, proprio nel momento in cui la diffusione di eserciti mercenari rendeva abituali quei saccheggi sistematici attraverso i quali i soldati si alimentavano e integravano la loro paga.
Alcuni storici hanno cercato di ridimensionare l'entità delle sciagure e dei danni provocati dalle guerre del '300, negando che gli eventi bellici di quell'epoca potessero incidere tanto in profondità da sconvolgere il sistema produttivo. Le guerre del '300, si dice, non hanno gli effetti distruttivi delle guerre contemporanee, che con l'alto livello della loro tecnologia sono invece in grado di annientare l'intero apparato produttivo di una nazione. L'osservazione non tiene conto di diversi fattori: il primo è lo stretto rapporto tra il reclutamento di eserciti mercenari e i saccheggi sistematici. Il secondo è la frequenza con cui alcune regioni furono devastate dalla guerra, una frequenza martellante, che non consentiva rapide possibilità di recupero. Il terzo è il nesso tra il passaggio di soldatesche affamate e malnutrite, e quindi facili ricettacoli di tutte le malattie a carattere epidemico, e la diffusione delle epidemie tra la popolazione civile. Certamente i danni furono molto più gravi nelle campagne che nelle città, solitamente in grado di resistere agli assedi grazie alle loro potenti fortificazioni, e nelle stesse campagne furono più provate le grandi aziende, dotate di attrezzature complesse (per esempio i mulini ad acqua) e quindi più difficili da ricostituire, dei piccoli poderi, la cui attrezzatura era semplice e rudimentale; è anche vero che colture come la vite, che richiede cospicui investimenti e rende solo dopo qualche anno, subirono danni più gravi delle colture cerealicole, in cui la semina e il raccolto vengono effettuati annualmente. Nel complesso, tuttavia, la guerra, come già osservavano i contemporanei, fu uno dei grandi mali dell'epoca.
L'ultimo elemento di questa spirale di fattori negativi è la
peste, di cui abbiamo già analizzato, nel capitolo precedente, il meccanismo del contagio, l'impatto psicologico sulle popolazioni, i riflessi medici e sanitari. Dobbiamo ora domandarci quali furono, sul lungo periodo, le conseguenze demografiche ed economiche delle epidemie.
L'umanità ha sempre dovuto affrontare epidemie più o meno gravi, pestilenze a carattere locale, malattie. Normalmente il brusco calo demografico determinato dall'aumento della mortalità viene recuperato in tempi abbastanza brevi: nuovi matrimoni tra i vedovi, l'abbassamento dell'età di matrimonio, nuove nascite, tendono a ristabilire l'equilibrio perturbato. Le epidemie del '300 sfuggirono, tuttavia, a questa regola, non solo per la loro eccezionale gravità, ma soprattutto per il loro carattere ricorrente: esse si susseguirono a breve scadenza, ostacolando le possibilità di recupero (
14.2). Sommandosi agli effetti determinati dalle guerre e da probabili difficoltà climatiche, le epidemie provocarono un duraturo regresso demografico che ebbe gravi ripercussioni di carattere economico e sociale.
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