14.2 Dal topo all'uomo
Prima di essere una malattia dell'uomo, la peste è stata una malattia del ratto. Questa scoperta della scienza moderna (il bacillo fu isolato circa un secolo fa) ha messo in luce un fenomeno che nel Medioevo nessuno avrebbe sospettato: la pulce, che popola abitualmente la pelliccia dei roditori, trasmette il bacillo dagli animali all'uomo, provocando epidemie dalle conseguenze terribili. Il tasso di mortalità (vale a dire la percentuale di decessi tra tutti gli individui colpiti dall'infezione) si aggira infatti, secondo il tipo di bacillo, dal 60 al 100%.
La peste si era abbattuta sulle regioni mediterranee già durante l'epoca romana, ai tempi dell'imperatore Marco Aurelio (161-180 d.C.), che ne restò egli stesso vittima. Un'altra epidemia (la cosiddetta "peste di Giustiniano") colpì l'Europa tra il 600 e l'800. Nel XIV secolo erano trascorsi, dunque, più di cinque secoli dall'ultima manifestazione del morbo. Sulle cause della sua riapparizione si discute molto, ed è possibile formulare soltanto ipotesi. Un'autorità mondiale in questo campo, Henri Mollaret, ha sottolineato con chiarezza il motivo della nostra ignoranza su uno dei fenomeni più importanti e drammatici nell'intera storia dell'umanità: "La mancanza d'informazioni sulla paleontologia dei roditori, la loro estensione, la natura delle specie e la loro ripartizione nel mondo prima dei tempi moderni, registra una crudele carenza; la storia dei roditori, che resta da fare, è indispensabile per chiarire quella delle epidemie passate, il loro cammino, la loro estensione e infine la loro estinzione o il loro perpetuarsi".
Per quanto riguarda l'epidemia del '300 è probabile che essa abbia avuto origine da un focolaio permanente di peste, situato ai piedi dell'Himalaya, fra l'India, la Cina e la Birmania; qui il bacillo trovava condizioni climatiche e biologiche ideali per impiantarsi stabilmente nelle colonie di roditori che popolavano la regione. La creazione dell'Impero mongolo, aprendo dopo molti secoli la possibilità di contatti tra le varie regioni asiatiche (dall'India alle steppe della Siberia) e tra queste e l'Europa (
11.7-8), può avere anche creato nuove occasioni per la diffusione del bacillo: "La maggior velocità di cui uomini a cavallo disponevano - ha scritto William McNeill - fece sì che l'infezione potesse estendere il proprio raggio d'azione [...] Ratti e pulci infetti potevano procurarsi, almeno occasionalmente, un passaggio all'interno di una bisaccia di sella piena di grano o di bottino d'altro genere, e la rapidità con cui i distaccamenti militari mongoli si muovevano abitualmente significava che fiumi e barriere simili, che si frapponevano alla lenta diffusione dell'infezione, potevano ora essere superati con la stessa facilità con cui secoli dopo lo sarebbero stati gli oceani".
Dall'Himalaya la peste fu portata in Cina, dove è attestata nel 1331. Dalla Cina il morbo impiegò quindici anni per raggiungere la colonia genovese di Caffa in Crimea (1346). A Caffa s'imbarcò sulle navi genovesi, che lo sparsero in tutto il Mediterraneo. Nel 1347 il bacillo è attestato a Costantinopoli e di lì a Messina, Marsiglia, Genova, Spalato, Ragusa (Dubrovnik), Venezia. Nel 1348 dilagò con una velocità impressionante in Africa del Nord, in Egitto, in Palestina, in Anatolia, in Siria, in Toscana, nella Val Padana, in Francia, Spagna, Inghilterra, Germania. Nel 1349 toccò la Carinzia, la Stiria, l'Ungheria, la Danimarca, la Scandinavia. Nei due anni successivi l'epidemia si attenuò fino a spegnersi, ma le sue vittime erano state in Europa più di 30 milioni: circa un terzo degli abitanti del continente.
La peste tuttavia non scomparve, e restò per secoli un male ricorrente, che gli uomini subirono indifesi. A intervalli di circa 9-12 anni il bacillo ricomparve ora in un luogo ora in un altro, con le solite micidiali conseguenze. I motivi di questo carattere ciclico sono ignoti e nessuna delle spiegazioni proposte (fenomeni astronomici, climatici, bellici, carestie, spostamento dei ratti ecc.) può considerarsi del tutto soddisfacente. In Europa essa cessò di essere una malattia endemica nel corso del XVIII secolo, probabilmente in conseguenza della diffusione di un'efficiente politica sanitaria. Nel mondo essa è ancora presente con apparizioni sporadiche, ma solo la diffusione degli antibiotici (dal 1943) ha fortemente limitato le sue terribili conseguenze (p. 322).
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