12.7 L'ascesa di Federico II
Dopo la sconfitta di Bouvines (
12.3) l'imperatore Ottone IV fu deposto; il giovane
Federico II, figlio di Enrico VI, ormai non aveva più rivali nella corsa all'Impero. Incoronato a Roma nel 1220 dal pontefice Onorio III, Federico si dedicò immediatamente al consolidamento del suo potere. Era necessario ricostituire il demanio imperiale e imporre l'autorità della corona su tutte quelle forze centrifughe che in circa venti anni di anarchia avevano esteso abusivamente la loro autonomia: il clero, i baroni, le città. Federico procedette in quest'opera con grande fermezza: le concessioni feudali ottenute illegalmente furono abolite, le fortezze e i castelli costruiti abusivamente furono rasi al suolo. Non mancarono accanite resistenze da parte di alcuni baroni, ma l'azione dell'imperatore fu favorita dalle rivalità che dividevano i feudatari l'uno dall'altro.
Per ottenere la corona imperiale, Federico si era solennemente impegnato col pontefice a intraprendere, al più presto, una nuova crociata, ma gli impegni del governo e la sua profonda ammirazione per la civiltà araba lo avevano trattenuto entro i confini del mondo cristiano. Il nuovo papa, Gregorio IX (1227-41), era però ben diverso dal suo mite predecessore: uomo energico e autoritario (apparteneva alla stessa famiglia di Innocenzo III), non si accontentava delle promesse, e nel 1227 scomunicò Federico, accusandolo apertamente di non avere a cuore il primo e supremo compito di ogni sovrano: la lotta contro gli infedeli.
Federico partì per la Terrasanta, ma impresse alla sua crociata (la sesta: 1228-30) un carattere davvero insolito: al linguaggio delle armi preferì quello sottile della diplomazia, all'azione a ogni costo l'arte della trattativa. Cominciò col sottoscrivere una pace decennale (1228-38) col sovrano d'Egitto al-Kamil, che s'impegnò a non ostacolare i pellegrinaggi cristiani; raggiunse poi la Terrasanta, dove fu incoronato re di Gerusalemme, titolo che gli spettava per aver sposato Isabella di Brienne, figlia di Giovanni di Brienne, che deteneva formalmente quel titolo e lo aveva trasmesso al genero. La Palestina era dunque nuovamente aperta ai cristiani, e senza versare una sola goccia di sangue: un risultato che nessun altro sovrano prima di Federico era riuscito a ottenere.
Ma tutto questo non piacque al papa, che accusò Federico di essere sceso a patti con gli infedeli, di aver condotto le trattative in modo eccessivamente personale, senza chiedere il parere delle autorità ecclesiastiche; cosa non meno grave, lo accusò anche di essere entrato nel Sepolcro di Cristo malgrado la scomunica. Era evidente che il pontefice non intendeva riconoscere a Federico il notevole successo di quella strana crociata. Ma il pontefice si spinse ben oltre, e lanciò il suo esercito contro il Regno di Sicilia. Rientrato prontamente dalla Palestina, l'imperatore sconfisse con facilità le truppe del pontefice che si vide costretto a ritirare la scomunica e ad accettare un accordo (pace di San Germano, 1230).
Federico poteva ora dedicarsi a una vasta opera di riorganizzazione e di consolidamento del proprio potere, il cui centro fu il Regno di Sicilia, comprendente tutta l'Italia meridionale. Il suo manifesto politico, pubblicato nel 1231, fu il Liber Augustalis: un corpo di costituzioni (chiamate "melfitane" perché promulgate a Melfi in Basilicata), in cui, tra l'altro, si proclamava solennemente la suprema e assoluta autorità del sovrano sui baroni, sui comuni, sulla Chiesa. Il Liber è la più grande opera legislativa emanata da un'autorità laica nel Medioevo, e rimase fino all'età napoleonica il fondamento del diritto vigente in tutto il Mezzogiorno. Esso rivela la straordinaria complessità del modello di governo federiciano e le sue fonti d'ispirazione: il diritto romano, operante in primo luogo nella giustificazione del potere assoluto del sovrano come fonte di ogni legge, il diritto canonico, che si manifestava soprattutto nell'assimilazione tra l'eresia e il reato di lesa maestà e la tradizione normanna, evidente nella ferma determinazione con cui si contrastava il particolarismo feudale.
Questa autentica rifondazione del potere si sarebbe basata sull'azione capillare di un corpo di funzionari dotati di compiti amministrativi e giudiziari. I quadri della pubblica amministrazione preposti a tali compiti - notai, giudici, esperti di diritto - sarebbero stati formati da scuole giuridiche appositamente costituite, prima fra tutte quella dell'Università di Napoli, fondata nel 1224 (
9.6) in concorrenza con la scuola di Bologna, e destinata come questa a un glorioso avvenire. Nella famosa scuola medica di Salerno (1231) Federico istituì inoltre la prima cattedra di anatomia d'Europa, presso la quale era consentito praticare la dissezione dei cadaveri (una esperienza fondamentale per il progresso della medicina, già praticata nell'antichità ma che nel Medioevo era comunemente considerata sacrilega). A Palermo, Federico insediò una corte sfarzosa, che ricordava il lusso delle corti orientali: vi si tenevano spettacoli dal gusto esotico e sensuale, che alimentavano la fama - abilmente diffusa dal clero - dell'imperatore come uomo in preda ai vizi e al peccato. Ma la corte di Federico era soprattutto un luogo di alta cultura, dove confluivano le più vive esperienze intellettuali del mondo arabo e del mondo cristiano e dove si praticava una poesia tra le più raffinate dell'epoca. La "scuola siciliana", come viene comunemente chiamato il circolo di poeti radunatisi intorno all'imperatore, è la prima scuola letteraria fiorita nel nostro paese durante l'età medievale.
Una politica tanto ambiziosa aveva naturalmente bisogno di notevoli mezzi finanziari: per questo l'imperatore istituì monopoli regi sui prodotti di prima necessità e sulle materie prime (sale, ferro, rame), creò nuove aziende agricole di proprietà della corona (le massariae regiae) e soprattutto riorganizzò e appesantì il sistema fiscale: qualsiasi attività produttiva, fosse essa rurale o urbana, fu sottoposta a tributi ordinari e straordinari. La situazione delle classi più povere, oppresse dal duplice peso delle prestazioni feudali dovute ai signori e delle esazioni regie, si fece molto difficile. Questo drenaggio delle risorse per finanziare l'esercito e l'apparato amministrativo ebbe, nel complesso, conseguenze negative sull'assetto economico e sociale dell'Italia meridionale, che si ritrovò ancora una volta attardata rispetto alla vivacità del Nord. Quello che caratterizzava il Meridione italiano era, in effetti, una notevole debolezza del ceto mercantile e, in genere, della vita economica urbana. Uno dei limiti della politica di Federico sta proprio nel non aver inteso pienamente, e di conseguenza favorito, il ruolo trainante dell'economia cittadina in quella crescita economica che in molte regioni d'Europa era ormai un'evidente realtà.
Torna all'indice