12.5 L'Inquisizione
Come tutti i reati spirituali, l'eresia rientrava nelle competenze tradizionali dei vescovi. Il dilagare del fenomeno nel XII secolo rese, però, praticamente impossibile un efficace e capillare intervento dell'autorità episcopale. Nel 1232 papa Gregorio IX affrontò il problema rendendo stabili le commissioni cui il IV Concilio lateranense aveva affidato la repressione antiereticale, e istituì
l'Inquisizione propriamente detta, il tribunale che per molti secoli ancora avrebbe difeso, con inflessibile rigore, l'unità e la compattezza della Chiesa cattolica, sacrificando la tolleranza all'ubbidienza, la spontaneità della fede all'intangibilità dei dogmi.
I tribunali dell'Inquisizione erano una macchina repressiva efficiente e inesorabile. Con indagini complesse e particolareggiate venivano raccolti tutti gli indizi, anche i più insignificanti, come le voci malevole o le chiacchiere dei vicini. Le colpe erano valutate secondo una rigida classificazione: gli eretici erano definiti confessi se ammettevano apertamente il proprio errore, neganti se si rifiutavano di farlo; erano perfetti se la loro condotta di vita era coerente con l'eresia che avevano abbracciato; imperfetti se si limitavano ad avere idee eretiche senza tradurle in una pratica di vita.
Per l'istruzione del processo bastava un semplice sospetto: chiunque avesse avuto contatti con un eretico era automaticamente oggetto dell'attenzione degli inquisitori. Anche i semplici sospettati erano oggetto di un'accurata classificazione: chi aveva salutato un eretico o ascoltato una volta un suo discorso era leggermente sospetto, chi lo aveva fatto due o tre volte era fortemente sospetto, chi frequentemente era fortissimamente sospetto.
L'interrogatorio era stressante. Gli inquisitori erano prescelti per le loro particolari doti di coraggio, di cultura, di eloquio; convinti di condurre una battaglia personale col demonio, che parlava per bocca dell'eretico, s'impegnavano a fondo in un repertorio che mescolava abilmente le persuasioni alle minacce, le lusinghe ai tranelli. I testimoni d'accusa erano protetti da un rigoroso segreto: l'accusato non poteva confrontarsi con loro, né saperne il nome. Il tribunale partiva dal presupposto che le denunzie per crimini tanto gravi venissero avanzate sempre in buona fede; spettava, quindi, all'accusato provare che esse erano state lanciate per motivi d'inimicizia personale, ma non conoscendo egli l'identità degli accusatori, la sua difesa era praticamente impossibile. Il processo si svolgeva senza avvocati e la condanna era inappellabile.
L'accusato che non confessava spontaneamente veniva sottoposto a tortura e, sotto le sevizie, erano ben pochi quelli che, pur innocenti, non confessavano. In questo modo i giudici e l'opinione pubblica si convincevano della quasi assoluta infallibilità dell'Inquisizione; l'accusa finiva per coincidere, di fatto, con la condanna.
Le pene erano graduate secondo la colpa. Le mancanze meno gravi venivano punite con multe, con l'obbligo di pellegrinaggi in luoghi lontani, con penitenze; nei casi più gravi venivano, invece, comminate mutilazioni (frequente il taglio della lingua) e il carcere. Ai recidivi toccava la pena di morte, quasi sempre, mediante il rogo "purificatore" (la Chiesa "aborre dal sangue", e il rogo non ne faceva scaturire nemmeno una goccia), che annientando il corpo dell'eretico, cancellava insieme la presenza del demonio.
La Chiesa si occupava di istruire e condurre il processo, ma non si occupava di eseguire le condanne. Questo compito toccava al "braccio secolare", cioè alle autorità civili. In tal modo la Chiesa allontanava da sé l'immagine del carnefice e l'attribuiva ai rappresentanti del potere laico.
Torna all'indice