12.2 Enrico VI e le difficoltà dell'Impero
Ma alla morte di Federico Barbarossa, nel 1190, il figlio, che si fece chiamare
Enrico VI (1190-97), incontrò gravi difficoltà nel farsi riconoscere la successione al trono di Sicilia (il re Guglielmo II era morto nel 1189). Nell'isola aveva preso vigore, infatti, la resistenza dei seguaci di Tancredi, conte di Lecce e nipote del defunto re, che rivendicavano la continuità della dinastia normanna e si opponevano all'insediamento di un sovrano tedesco. Tancredi, che fu incoronato re a Palermo nel 1190, godeva dell'appoggio del papato, sempre timoroso di un eccessivo rafforzamento dell'Impero, e del re d'Inghilterra, Riccardo Cuor di Leone.
Enrico VI scese in Italia nel 1191 per far valere i propri diritti, ma immediatamente in Germania scoppiò una rivolta, fomentata dal duca di Sassonia, Enrico il Leone e da suo figlio Ottone di Brunswick, anch'essi sostenuti dal re d'Inghilterra. Enrico riuscì a risolvere questa difficile situazione grazie a un autentico colpo di fortuna: la cattura, in Austria, di Riccardo Cuor di Leone, che ritornava dalla crociata in Terrasanta. Il sovrano d'Inghilterra fu costretto a rendergli l'omaggio feudale e a pagare un cospicuo riscatto. A questo successo si aggiunse un'altra circostanza favorevole: l'improvvisa morte di Tancredi, avvenuta nel 1194. Enrico ebbe, ora, i mezzi e la tranquillità per domare gli avversari e dedicarsi alla conquista del Regno di Sicilia, che si concluse trionfalmente con la sua incoronazione a Palermo nello stesso anno.
L'imperatore cercò subito di rafforzare il proprio dominio in Italia meridionale insediandovi vassalli e governando per mezzo di funzionari (i ministeriales) da lui prescelti. Il suo Impero, che si estendeva dal Nord Europa al Mediterraneo, poteva apparire, e in effetti era, una costruzione imponente: Enrico VI vedeva in esso quasi un preludio all'"Impero universale" articolato su tre nuclei: la Germania, l'Italia meridionale e i territori bizantini, che l'imperatore intendeva conquistare. All'interno di questa compagine covavano però germi di dissoluzione che ben presto sarebbero esplosi. Era difficile, infatti, controllare territori così vasti quando in Germania si susseguivano i tentativi di usurpazione e in Italia erano tutt'altro che sopite le aspirazioni libertarie dei comuni. Il papato, dal canto suo, non intendeva restare inerte di fronte a quella morsa che minacciava di accerchiare e soffocare i propri territori e aspettava l'occasione per intervenire.
L'occasione si presentò nel 1196, quando Enrico VI proclamò "re dei romani" il figlio Federico Ruggero (il futuro Federico II). Il vecchissimo pontefice Celestino III affermò che, con questo gesto, l'imperatore aveva offeso la dignità e le prerogative della Chiesa, e lo scomunicò. Enrico VI rispose organizzando una crociata tutta tedesca che avrebbe confermato l'egemonia della componente germanica dell'Impero e rialzato, nella Cristianità, il proprio prestigio compromesso dalla scomunica. Il suo progetto fu però stroncato dalla morte improvvisa, che lo colse nel 1197 in Sicilia, a soli 32 anni.
L'impalcatura che Enrico VI aveva costruito contro tante difficoltà si sfaldò rapidamente: mentre le città italiane espellevano i funzionari tedeschi e proclamavano la propria autonomia, in Germania divampava la lotta per la corona imperiale, contesa tra due grandi casate: quella di Baviera, guidata da Ottone di Brunswick e sostenuta dai guelfi, e quella di Svevia, guidata da Filippo, fratello del defunto imperatore e sostenuta dai ghibellini. All'imperatrice Costanza d'Altavilla non restò altro che riconoscere la sovranità papale sui propri territori. In cambio il pontefice incoronò re di Sicilia il figlio di Costanza ed Enrico VI, Federico, che non aveva ancora quattro anni (1198).
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