9.3 La regalità teocratica e la regalità feudale
Per imporre la loro concezione del potere i pontefici dovettero lottare accanitamente durante tutto il Medioevo. Le loro pretese non mancarono - come abbiamo visto (
8.7) e come vedremo (
12.2) - di suscitare forti resistenze da parte di tutti gli altri poteri, primi fra tutti gli imperatori e i re.
I sovrani che si opponevano alle aspirazioni egemoniche del pontefice non contestavano i suoi poteri in campo religioso, ma quelli politici. Essi sostenevano una
dottrina dualista: nelle questioni temporali (riguardanti cioè la vita concreta), doveva essere superiore il potere monarchico, in quelle spirituali il potere papale. La Chiesa - essi dicevano - era un corpo mistico, privo di contenuti terreni; per guidare questo corpo mistico non erano necessari poteri giuridici, ma solo spirituali. Esisteva dunque un serio problema di concorrenza tra il papato e le monarchie (comprendendo in questo termine anche l'Impero), che attraversava tutta la storia medievale.
Come già abbiamo fatto per il papato, è opportuno esaminare ora i fondamenti del potere monarchico. Anche il monarca si riteneva tale per diritto divino, per "grazia di Dio", come si diceva. In tutte le forme di pensiero teocratico - riferite sia al papa che ai re o all'imperatore - il potere era visto come una concessione dall'alto verso il basso: se il suddito del monarca riceveva dei privilegi questo accadeva in seguito a un'elargizione del sovrano, su cui egli non aveva alcun diritto. Le leggi stesse non avevano carattere vincolante perché approvate da un'assemblea popolare, ma semplicemente perché il re voleva così. Un'altra analogia tra la monarchia teocratica e il papato teocratico stava nel rapporto tra il sovrano e i sudditi. Come il papa non faceva parte della Chiesa ma comandava sulla Chiesa, così il sovrano non faceva parte del popolo ma comandava sul popolo. Questo distacco era funzionale alla non responsabilità del sovrano: il popolo non poteva giudicare il re, né togliergli consenso per il semplice fatto che non aveva alcun potere su di lui. Il sovrano, dicono i testi dell'epoca, stava "sopra il popolo" e il popolo gli era stato affidato da Dio.
Fin qui i fondamenti della teocrazia monarchica non appaiono, nella sostanza, troppo diversi da quelli papali. Eppure la funzione teocratica del monarca era molto più debole di quella del papa e subì a lungo la superiorità di quest'ultima. Per comprendere il motivo di questo fenomeno dobbiamo porre una domanda che oggi può sembrarci lontana dai problemi della politica e dello Stato, ma che allora era assolutamente centrale: quale era il fondamento biblico del potere monarchico?
Mentre per i papi la possibilità di trovare nelle Sacre Scritture il fondamento del loro potere era relativamente facile, per i sovrani era assai arduo. Il riferimento alla formula di San Paolo omnis potestas a Deo ("ogni potere discende da Dio") era l'unico possibile, ma si rivelava una trappola insidiosa per i sostenitori della parità tra monarchia e papato: se il sovrano traeva da Dio il suo potere e se egli apparteneva alla Chiesa come tutti gli altri cristiani, come poteva non dipendere dal papa, intermediario riconosciuto tra Dio e gli uomini, capo della Chiesa, unico interprete autentico della legge divina? Il problema stava tutto qui: poiché nessuno poteva negare che l'interpretazione della legge divina spettasse al papa, chiunque si dichiarasse sottomesso alla legge divina - re e imperatori compresi - si dichiarava implicitamente sottomesso all'autorità papale. Il fatto stesso che il sacramento con cui il re veniva consacrato nelle sue funzioni - l'unzione regia (il re veniva quindi unto come i vescovi) - fosse amministrato da funzionari ecclesiastici era la prova che tra il re e Dio esistevano intermediari di cui non si poteva fare a meno. Tra il papa e Dio, invece, non c'erano intermediari.
Se il re medievale era un sovrano teocratico, era anche, però, il supremo signore feudale. Come governante egli era in sostanza il detentore di due funzioni contrastanti: secondo la funzione teocratica, era la sua stessa volontà a creare la legge ed egli esercitava il potere esclusivamente per volontà divina, senza che fosse necessario il consenso dei sudditi; secondo la funzione feudale, invece, non era la sua volontà ad avere forza di legge, ma il consenso implicito o esplicito dei vassalli. Non bisogna dimenticare che i rapporti feudali avevano una base contrattuale: tra il sovrano e i vassalli si stipulava un contratto che doveva essere rispettato da ambedue le parti. Questo significa che un sovrano che non rispettava gli impegni presi solennemente con un vassallo non era più degno di obbedienza. "Mentre sotto l'aspetto teocratico - ha scritto Walter Ullmann - è concettualmente impossibile parlare di un contratto fra re e sudditi, l'aspetto feudale della regalità sottolineava invece l'importanza del contratto a esclusione di ogni altro elemento [...]. Il governo teocratico era unilaterale, quello feudale bilaterale".
La storia delle monarchie europee durante gli ultimi secoli del Medioevo e i primi dell'età moderna sarà segnata da questo dualismo delle funzioni. Gli sviluppi saranno diversi nei vari paesi: mentre alcune monarchie (per esempio quella inglese) accentueranno notevolmente l'aspetto feudale del potere, altre (per esempio quella francese) si rafforzeranno su base teocratica.
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