8. L'alba dell'Europa
8.1 La rapida decadenza dell'Impero carolingio
Malgrado le apparenze, l'Impero carolingio era una compagine debole. Il suo grande momento era stato quello delle grandi conquiste, quando il popolo dei franchi, strenuo difensore del cristianesimo contro i pagani di tutta Europa, aveva preso coscienza della propria forza grazie a una serie ininterrotta di travolgenti successi. Ma bisogna riconoscere che nemici come i longobardi, i sassoni e gli àvari - inferiori per numero, armamenti e organizzazione - furono un banco di prova complessivamente modesto. Nulla poterono infatti i franchi contro nemici della statura degli arabi o dei bizantini, che rappresentarono sempre un baluardo insormontabile sul versante mediterraneo.
Bloccati entro i confini stabiliti da Carlomagno, i suoi successori non ebbero più di fronte il problema di cosa conquistare, ma di come difendere ciò che era stato conquistato. Problema sempre di soluzione difficile, quasi impossibile per una dinastia assediata da una forte aristocrazia che ricominciava a minacciare il trono non appena allo stato di guerra permanente subentrava la pace e veniva meno la speranza di nuove terre da conquistare per sé, per i propri figli e per i propri inquieti uomini d'arme.
Alla morte di Carlo queste forze centrifughe ripresero immediatamente vigore, ponendo sul tappeto anzitutto l'annosa questione dell'ereditarietà dei feudi. Dopo una lunga lotta tra la dinastia e i feudatari, questi ultimi riuscirono definitivamente a trasformare il beneficio personale accordato dal re a un singolo individuo in un privilegio ereditario sottratto al potere regio. La legalità della trasmissione ereditaria delle terre fu infine sancita nell'877 dal capitolare di Quierzy (p. 173) che rappresentò una tappa fondamentale nel processo di frantumazione politica intrinseco al sistema feudale.
L'unico figlio ed erede di Carlomagno,
Ludovico il Pio (814-40) era ossessionato dalla preoccupazione di tenere salda l'unità dell'Impero. Aveva tre figli, e non voleva smembrare il giovane Impero tra loro, condannandolo fatalmente a una rapida fine. Ludovico non amava la guerra (come il suo soprannome, Pio, lascia ben intendere), ma in fatto di politica interna aveva le idee chiare. Così, nell'817 emanò 1'Ordinatio imperii, una disposizione che indicava come unico erede al trono il primogenito Lotario. Questa decisione si scontrava con le aspirazioni dei suoi figli minori, Pipino e Ludovico il Germanico (ai quali erano riservati rispettivamente i Regni di Aquitania e di Baviera), e soprattutto urtava contro la tradizione franca, che prevedeva una divisione in parti uguali fra tutti gli eredi maschi (
6.3). La tensione si acuì nell'829, quando Ludovico aggiunse al numero dei suoi eredi anche il figlio Carlo (il futuro Carlo il Calvo), avuto da una seconda moglie. Si aprì una lunga lotta per il potere, che gettò l'Impero nel caos: i figli dell'imperatore si combattevano l'un l'altro, e combattevano il padre, mentre i feudatari vendevano il loro appoggio al migliore offerente. Il patrimonio regio subì un colpo durissimo: terre fertili e tenute prospere furono spartite tra i feudatari, per scongiurarne il tradimento o comprarne i favori, e questa pioggia di ricchezza minò anche la stessa etica su cui si fondavano i reciproci rapporti di fedeltà tra il signore e i suoi vassalli.
Anche dopo la morte di Ludovico, nell'840, i tre figli superstiti, Lotario, Ludovico e Carlo il Calvo (Pipino era morto nell'838) si contesero aspramente il primato, ma un accordo firmato a
Verdun nell'843 pose fine a questa situazione stabilendo la spartizione dell'Impero in tre regni: a Lotario fu assegnato il Regno d'Italia, con l'aggiunta del territorio compreso tra il Reno e la Loira (che poi prese il nome di Lotaringia); a Ludovico il Germanico fu attribuito il Regno di Germania, cioè il territorio compreso tra il Reno e l'Elba; a Carlo il Calvo toccò invece il Regno di Francia. Anche se Lotario, in ossequio alla volontà paterna com'era stata espressa nell'Ordinatio imperii, manteneva il titolo d'imperatore, l'Impero, frammentato in tre Regni autonomi e indipendenti, era ormai soltanto un'espressione formale.
I tre Regni formatisi in seguito all'accordo di Verdun esprimevano una realtà molto più profonda di una semplice spartizione geografica; essi coincidevano infatti con le tre principali "nazionalità" dell'Europa di quel tempo: la tedesca, la francese e l'italiana. È proprio di questi anni il primo documento in lingua volgare della storia europea: nell'842 Ludovico e Carlo il Calvo s'incontrarono a Strasburgo per suggellare con un pubblico giuramento il loro accordo e, perché i rispettivi eserciti schierati in parata potessero comprenderne il testo, furono costretti a tradurlo dal latino in lingua francese e tedesca. Cogliamo qui un dato fondamentale dell'Europa di questo periodo: il distacco tra il latino, lingua della cultura e della politica, e le lingue nazionali, parlate dal popolo. Una realtà che aveva una precisa corrispondenza sociale ed economica, e che la Chiesa aveva mostrato di capire con molto anticipo. Cinquant'anni prima del giuramento di Strasburgo, un sinodo tenutosi a Francoforte sotto l'egida di Carlomagno aveva infatti già proclamato: "Che Dio sia adorato in qualsiasi lingua: se domanda cose giuste, l'uomo sarà esaudito".
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