3. L'Italia longobarda
3.1 Una frattura nella storia d'Italia
Nel 568 una nuova ondata di barbari invase l'Italia: erano i
longobardi, una popolazione germanica di probabile origine scandinava, stanziata da tempo in Pannonia. Essi varcarono le Alpi orientali in massa, affiancati da altri gruppi germanici, e costrinsero le truppe bizantine alla difensiva; li guidava il re
Alboino. Già nel I secolo d.C. uno storico romano li aveva definiti "più feroci della ferocia germanica", ma le popolazioni italiche li conoscevano da vicino perché 2500 mercenari longobardi avevano servito nell'esercito bizantino impegnato contro i goti e avevano stupito tutti con il loro talento nell'uso delle armi. Anche in questa occasione la loro fama non fu smentita. Divisi in bande agguerrite, i cui capi erano chiamati duchi, essi avanzarono saccheggiando e distruggendo. Caddero nelle loro mani, una dopo l'altra, Aquileia, Treviso, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo e, nel 569, Milano; per la conquista di Pavia - che diventerà capitale del regno longobardo - occorsero invece altri tre anni; dopo l'Italia settentrionale fu la volta della Toscana e dell'Umbria; altri gruppi si spinsero verso sud e occuparono Benevento, che divenne il centro principale dei territori longobardi nel Meridione.
I longobardi non riuscirono a occupare tutta la penisola, né i bizantini riuscirono a cacciare i longobardi oltre le Alpi: di conseguenza un accordo stipulato nel 603 spezzò l'unità politica dell'Italia (sarebbe stata ricostituita soltanto più di 1250 anni dopo). L'Italia bizantina o Romània (da cui deriva il nome dell'odierna Romagna) si contrappose alla Longobardia (da cui deriva il nome dell'attuale Lombardia); i territori bizantini comprendevano la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, la Calabria, la Puglia, Napoli, il Lazio, la Liguria (fino al 643), il litorale veneto, Ravenna e il suo territorio, chiamato Esarcato dal nome del governatore bizantino in Italia (esarca), e infine la cosiddetta Pentapoli, comprendente cinque città della costa adriatica (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona) e cinque dell'interno (Urbino, Fossombrone, Cagli, Iesi e Gubbio). I territori longobardi comprendevano invece quasi tutta l'Italia settentrionale, la Toscana e i ducati indipendenti di Spoleto e di Benevento.
Sui longobardi prima dell'arrivo in Italia sappiamo molto poco: erano un popolo senza scrittura e le nostre informazioni - tranne rari casi (p. 61) - dipendono quasi esclusivamente dai corredi funebri. L'impressione che si ricava da queste testimonianze è che la società longobarda fosse assai poco stratificata. I longobardi erano una popolazione guerriera, che si era temprata - nelle regioni danubiane - in decenni di lotte per la sopravvivenza contro altre popolazioni barbare. L'esercizio delle armi era considerato l'unica attività veramente degna ed era anche la principale risorsa economica: il bottino, il saccheggio, il tributo imposto ai vinti, rendevano marginali e ben poco considerate attività come l'agricoltura e il commercio. I longobardi erano però grandi allevatori dell'animale da battaglia per eccellenza, il cavallo.
Nelle dure e incessanti lotte che i longobardi avevano dovuto affrontare in Europa orientale, la loro monarchia si era andata caratterizzando marcatamente in senso elettivo e la trasmissione del potere supremo avveniva più per considerazioni di merito che di discendenza. Al sovrano si richiedeva soprattutto il valore militare e la capacità di trascinare il popolo guerriero di vittoria in vittoria. Questa caratteristica introdusse elementi di forte competitività in seno all'aristocrazia e fece della regalità un'istituzione perennemente in bilico e sottoposta alla tensione di forze centrifughe. Non a caso gran parte della storia politica dei longobardi è una catena di usurpazioni, tradimenti, assassini, colpi di mano.
Come tutti i re longobardi, anche Alboino era un guerriero eroico. Prima dell'invasione dell'Italia egli aveva condotto due vittoriose campagne contro i gèpidi, una popolazione germanica stanziata in Dacia. Aveva anche personalmente ucciso il loro re Cunimondo, facendo del suo teschio una coppa da cui bevve. Quella che secondo la tradizione sarebbe stata una manifestazione di macabro scherno, va in realtà interpretata come una sorta di assunzione magica delle prerogative regali e della potenza vitale del defunto, secondo un'usanza che non desta stupore in società guerriere come quella longobarda. Alboino aveva poi sposato la figlia di Cunimondo, Rosmunda. Questo matrimonio gli fu fatale, perché Rosmunda non tardò a vendicare la morte del padre: nel 572 la regina ordì infatti una congiura che portò all'uccisione di Alboino.
Alla morte del sovrano, il cui prestigio si era andato peraltro indebolendo man mano che era venuto meno lo slancio della conquista, la debolezza della compagine longobarda e l'irrequietezza dell'aristocrazia si manifestarono in tutta la loro gravità: una parte dei longobardi si mantenne fedele a Rosmunda e seguì la regina a Ravenna, ponendosi sotto la protezione bizantina. L'altra non riuscì a esprimere una guida stabile e fu lacerata da aspri contrasti. Per circa dieci anni il potere fu spartito tra i duchi (circa una trentina), che governavano autonomamente i territori nei quali si erano insediati.
A questo periodo di anarchia pose fine l'elezione al trono di
Autari (584-90). Sotto di lui fu ricostituita l'autorità regia: i duchi decisero infatti di cedere alla corona la metà dei beni fiscali di ciascun ducato, che andarono così a formare un vasto patrimonio necessario all'esercizio del potere centrale. Per amministrare queste terre il re utilizzava emissari chiamati gastaldi. Al fine di rafforzare la propria posizione, Autari cercò alleanze con altre popolazioni germaniche, e sposò la figlia del duca di Baviera, Teodolinda, che era di religione cattolica. L'appartenenza della regina alla confessione religiosa dei romani soggetti rappresenterà un importante elemento di avvicinamento tra i conquistatori e i vinti (
3.4). Infatti i longobardi erano ariani (e quindi eretici), per di più avevano mantenuto alcuni riti di carattere decisamente pagano (p. 61); la conversione al cattolicesimo era loro proibita e non favoriva certamente l'integrazione tra le due comunità. Da parte sua, Autari, pur non introducendo alcuna novità sul piano religioso, mostrò maggiore apertura nei confronti dei romani e chiamò alcuni di loro a far parte del suo consiglio. Primo tra i sovrani longobardi, egli prese il titolo di Flavio, che era stato il nome di tanti imperatori romani: evidentemente la manifestazione della vera regalità richiamava ancora, pur in una situazione tanto diversa, l'antico prestigio politico dell'Impero romano.
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