2.2 L'economia e la società
L'Impero bizantino restò a lungo in Europa l'unico Stato degno di questo nome; di fronte ai regni romano-germanici, dove a fatica si cercava di mantenere in vita i resti dell'amministrazione e delle strutture produttive romane, Costantinopoli offriva lo spettacolo di una compagine dotata di una burocrazia specializzata, di scuole, di un esercito permanente, di una flotta moderna e ben organizzata. Naturalmente tutto questo aveva dei costi pesanti: la pressione fiscale a Bisanzio fu infatti sempre fortissima e fu una delle cause determinanti - come lo era stata nel tardo Impero d'Occidente - dell'estendersi dei latifondi a danno della piccola proprietà.
Ma Costantinopoli era anche il crocevia d'Europa. Posta alla confluenza di due direttrici - quella che collegava la regione pontica con il Mediterraneo e quella che univa l'Europa continentale con l'Oceano Indiano - la città svolgeva traffici con tutto il mondo, dalle steppe asiatiche all'Etiopia, dal Nord Europa a Zanzibar, dalla Spagna alla Cina. Uno dei più accesi motivi di contrasto con la Persia era proprio la via della seta, il cui controllo rivestiva una notevole importanza economica. Oltre a quel prezioso tessuto, Costantinopoli importava dall'Oriente merci di lusso e spezie; le esportazioni consistevano soprattutto in stoffe e vasellame. Ma nel VI secolo Bisanzio realizzò il colpo grosso: alcuni monaci bizantini riuscirono infatti a strappare ai cinesi il segreto, fino ad allora gelosamente custodito, della produzione della seta, e a portare alcuni bachi da seta a Bisanzio. La produzione del tessuto si diffuse presto, come monopolio statale, nelle principali città dell'Impero, e diventò una delle sue principali fonti di ricchezza.
Malgrado la presenza di questa e di altre attività industriali, le condizioni dei ceti meno abbienti a Costantinopoli e negli altri grandi centri urbani dell'Impero erano quelle solite nelle città antiche: masse di cittadini disoccupati vivevano ai limiti della sussistenza manifestando periodicamente il loro malcontento con ribellioni e sommosse regolarmente placate nel sangue. Come tutti i romani, gli abitanti di Costantinopoli avevano una grande passione: il
circo. Venuti meno i combattimenti di gladiatori, aboliti dalla religione cristiana, erano in grande auge le corse di cavalli. Per organizzarle, i privati e l'imperatore spendevano somme ingentissime: destrieri di pura razza venivano acquistati nelle regioni più lontane e addestrati con grande cura; stalle ed allevamenti attrezzatissimi erano tenuti con enorme dispendio di risorse; quanto agli aurighi, essi erano dei veri e propri idoli delle folle. L'entusiasmo collettivo animava le gare dei cavalli, stimolava la pratica delle scommesse, canalizzava un "tifo" quanto mai fanatico.
Esistevano vere e proprie squadre chiamate secondo il colore (rossi, bianchi, azzurri, verdi), che fornivano gli aurighi e l'altro personale necessario. Gli aurighi correvano sotto i colori delle varie fazioni, ed ogni fazione aveva i suoi fans. Questi ultimi li si riconosceva dalla capigliatura, tagliata in modo particolare, e dall'abbigliamento (p. 40). In una società in cui non esistevano né partiti né altre forme di organizzazione politica, il luogo dove si tenevano i giochi era uno spazio importante (praticamente l'unico), in cui era possibile, per il popolo, manifestare i propri sentimenti di adesione al governo o di dissenso. Ma il mondo delle fazioni del circo non era né ordinato né prevedibile, e il colore delle singole fazioni non corrispondeva puntualmente a questa o quella posizione politica, a questo o quell'orientamento sociale: le fazioni, in altre parole, erano una sorta di "contenitori" dove potevano prender corpo gli orientamenti più diversi. Esse rappresentavano però un costante fattore di turbolenza e di inquietudine per il potere. Lo si vide chiaramente in tanti episodi, ma soprattutto nel 532 durante la terribile rivolta di Nika (chiamata così dal grido "Nika", cioè "vittoria" dei rivoltosi). L'imperatore
Giustiniano (527-65), per porre fine ai frequenti disordini che squassavano la vita di Costantinopoli, prese severi provvedimenti contro le fazioni dei verdi e degli azzurri. Le fazioni, tradizionalmente nemiche, si unirono allora in una comune protesta contro l'imperatore, che trovava terreno fertile in una popolazione afflitta da pesanti tributi. Nell'ippodromo risuonò un grido tanto minaccioso quanto inconsueto: "Molti anni di vita ai misericordiosi verdi e azzurri!". La rivolta dilagò a macchia d'olio e mise in pericolo la stessa sopravvivenza fisica della famiglia imperiale. L'imperatore prese in seria considerazione l'ipotesi di una fuga, ma fu trattenuto dalla moglie Teodora, una donna di umili e discusse origini (aveva praticato il mestiere infamante della ballerina), ma di grande temperamento ed eccezionale intuito politico. L'insurrezione fu sedata solo con la violenza, e con l'astuzia, quando il generale Belisario fece irruzione nell'ippodromo con le truppe fedeli all'imperatore ed effettuò una spaventosa carneficina.
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