2. L'Impero bizantino
2.1 La civiltà bizantina
Mentre l'Impero d'Occidente cadeva sotto l'impeto delle popolazioni germaniche, i romani d'Oriente rafforzavano le imprendibili mura di Costantinopoli. Quando infine nel 476 Odoacre depose Romolo Augustolo, l'imperatore d'Oriente
Zenone (474-91) non poté fare altro che prendere atto della situazione: l'Italia era ormai perduta, come le Gallie, la Spagna, l'Africa.
La prudenza di Costantinopoli era facilmente comprensibile. Terre più fertili, una maggiore diffusione della piccola proprietà, una popolazione più numerosa, confini più difendibili, un urbanesimo ancora fiorente, mezzi finanziari adeguati, avevano garantito la sopravvivenza dell'Impero d'Oriente. Ma le sue forze militari non erano, per il momento, sufficienti ad affrontare una spedizione in Italia che avrebbe inevitabilmente sguarnito le frontiere orientali: i Balcani erano infatti tuttora aperti alle scorrerie dei barbari mentre l'Impero persiano restava sempre una pericolosa spina nel fianco.
L'Impero d'Oriente trovò la forza di resistere altri mille anni, fino al 1453, quando la sua capitale fu espugnata dai turchi. Quest'ultimo millennio della sua storia vide la fioritura e la decadenza della
civiltà bizantina, così chiamata dall'antico nome di Costantinopoli, Bisanzio. Struttura statale romana, cultura greca, religione cristiana, furono le componenti principali di questa civiltà. La posizione geografica di ponte tra Oriente e Occidente fece però di Costantinopoli una città aperta a tutti gli stimoli, a tutte le influenze; questo eclettismo, unito a un fortissimo attaccamento alla tradizione greco-romana, conferì alla sua cultura una superiorità incontrastata per gran parte dell'età medievale. "Alcuni dei migliori imperatori bizantini - ha scritto R.S. Lopez - furono armeni; i migliori giuristi, siriaci; gli slavi sembrano aver potentemente influito sull'economia agricola e sulle sue istituzioni; scandinavi e italiani fornirono, a quel che pare, modelli di navi; l'Iran e l'Egitto offrirono i più bei disegni che gli artigiani bizantini abbiano tessuto con il filo del baco da seta importato dalla Cina. [...] Come l'antica Roma, e sia pure in proporzioni più ridotte, la nuova Roma fu grande perché seppe essere un crogiolo di popoli, originale perché assorbì liberamente le idee degli altri senza perdere coscienza di sé".
Un crogiolo di popoli, una civiltà aperta verso il mondo ma consapevole della propria identità. I bizantini non smisero mai, infatti, di chiamarsi "romani", e così erano conosciuti dai popoli vicini. Mentre il termine "greco" (héllenos) tendeva sempre più ad assumere caratteristiche spregiative e a essere usato nel senso di "pagano", la denominazione di "romano" manteneva vivo il senso di un radicato attaccamento all'antica tradizione.
Oltre che in questo collegamento ideale, l'identità bizantina si esprimeva nell'orgoglio di un Impero cristiano per eccellenza, cui spettava il compito di difendere la vera fede dai pagani e dagli eretici. A Bisanzio l'imperatore non era soltanto il comandante supremo dell'esercito, il sommo giudice, l'unico legislatore. Era anche colui che ha ricevuto da Dio il potere e il compito di proteggere la sua Chiesa. Tipica dell'Impero bizantino fu appunto una progressiva simbiosi con la Chiesa, che pose quest'ultima in una posizione certamente privilegiata, ma anche subordinata all'imperatore. Tutti i sovrani di Bisanzio avrebbero sottoscritto le parole rivolte da un imperatore al papa di Roma: "Voi potete contrastarmi, reverendo sire, potete insultarmi. Ma non potete comandarmi". Questo tipico rapporto in cui la Chiesa viene considerata un organo dello Stato e il capo dello Stato assume prerogative e competenze in campo spirituale, viene chiamato
cesaropapismo (da "cesare" e "papa"). La netta affermazione di questo principio a Costantinopoli fu - come vedremo - alla base della frattura che si creò tra il papa di Roma e l'imperatore d'Oriente e che si riflette ancora oggi nel distacco tra il cristianesimo greco (ortodosso) e quello latino (romano).
L'imperatore bizantino era oggetto di un culto di tipo politico-religioso, in cui gli elementi tradizionali dell'ideologia imperiale romana si fondevano con elementi prettamente orientali. Di fronte alla sua sacra persona, che l'arte ufficiale ritraeva in atteggiamenti ieratici, tutti i sudditi, anche i più alti dignitari, dovevano prostrarsi fino a toccare terra. Il cerimoniale di corte, regolato da norme complesse quanto sofisticate, scandiva la vita pubblica e privata del sovrano.
Dal punto di vista dottrinario, la situazione religiosa dell'Impero bizantino era però estremamente complessa e lacerata. Il punto caldo del dibattito religioso riguardava la natura del Cristo, vale a dire il rapporto fra l'umanità e la divinità del figlio di Dio. Una prima e aspra controversia fu provocata dal patriarca di Costantinopoli Nestorio, secondo il quale la persona divina del Figlio, generata dal Padre divino, e la persona umana di Gesù, generata da Maria, convivevano in un'unica personalità che le comprendeva entrambe. Il nestorianesimo ebbe una larga diffusione, soprattutto in Mesopotamia e in Siria, ma fu duramente condannato dal concilio di Efeso del 431, che riaffermò la dottrina secondo la quale in Cristo la natura umana e la natura divina costituivano un'unica persona.
Questo dibattito provocò la diffusione di altre dottrine, prima fra tutte il monofisismo, così chiamato (da mónos, "uno", e physis, "natura") perché riconosceva nel Cristo una sola natura, quella divina. Il monofisismo attecchì a fondo in Siria e in Egitto, ma fu ugualmente contrastato dalle gerarchie ecclesiastiche e dal potere imperiale, perché sembrava compromettere il significato salvifico del Figlio incarnato, che si basava appunto sull'integrità simultanea delle due nature in un'unica persona. La condanna del monofisismo fu solennemente proclamata nel concilio di Calcedonia del 451. La persistenza del monofisismo in regioni vitali per l'Impero, quali erano appunto la Siria e l'Egitto, e lo stato di perenne agitazione in cui versavano le popolazioni di quelle province a causa delle reiterate persecuzioni che su di loro si abbattevano determinarono tuttavia una notevole oscillazione della politica imperiale al riguardo.
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